Il futuro passa da Lisbona

di Francesco Ognibene

Le Giornate mondiali della gioventù ormai stanno diventando anche molto altro: oltre ai diretti coinvolti, con età-limite poste dagli organizzatori come riferimento tra i 16 e i 30 anni, vi partecipano famiglie al completo, nonni e zie, genitori e nipoti, bambini nei passeggini e al collo di mamme giovanissime. È un autentico tripudio delle relazioni umane più elementari e fondative, quelle che ci costituiscono sin dallo scoccare della nostra vita e che recano in sé l’impronta della creazione.

Per le strade delle città che ospitano le GMG scorre una folla di volti giovani e sempre più spesso anche meno giovani che danno l’idea della potenza di un’intuizione: quella con la quale Giovanni Paolo II nell’Anno Santo della Redenzione (1983-1984) “vide” in piazza San Pietro in una Domenica delle Palme dedicata ai giovani l’avanguardia di un popolo che nel tempo avrebbe detto al mondo con tutta l’energia delle nuove generazioni che c’è speranza per tutti, e che questa speranza ha il nome di Gesù.

Quei primi, da Roma 1985 a Buenos Aires 1987, e poi le edizioni che hanno segnato la vita di una generazione che oggi è di madri e padri (Parigi 1997 e soprattutto Roma 2000), sono ora “ex giovani” ma con le Giornate della gioventù conservano il legame che i primi discepoli avevano con il Mare di Galilea: il luogo della prima chiamata a una responsabilità nella vita e nella società. E se moltissimi sono genitori di figli che si affacciano alla loro prima GMG, tanti altri delle primissime edizioni sono già nonni. E rielaborano a modo loro quella profezia di Papa Wojtyla: la Giornata dei giovani resa Giornata della famiglia, e ancor di più Giornata mondiale della vita. Vita che prorompe nei giovani che tracimano dagli argini delle previsioni adulte sempre prudenti rispetto a questi eventi giovanili, ma in modo ancor più esplicito vita che germoglia in quei nuclei familiari nei quali le generazioni degli inizi si incrociano con quelle di chi sulla loro parola non ha voluto mancare alla GMG che la Chiesa gli propone. Vale anche il viceversa: sono i figli ora adulti che devono la loro fede a quel che una Giornata della gioventù gli ha mostrato a convincere i loro genitori a partire insieme per un’avventura di famiglia. E sono davvero tanti a farlo, sempre di più a ogni edizione.

Prendete Lisbona. L’edizione portoghese, nella prima settimana di agosto, è stata premiata da una partecipazione giovanile oltre ogni più ottimistica previsione: il milione e mezzo di presenti alla Messa conclusiva del Papa, nella domenica della Trasfigurazione, parlano di un desiderio incontenibile di tornare a viaggiare, a incontrarsi, a sperimentare in prima persona che nei giovani è dirompente e dice di una domanda che tutti abbiamo dentro, forse inespressa. Lisbona ha segnato anche il ritorno a un’edizione della GMG frequentabile da grandi masse giovanili ben sette anni dopo Cracovia 2016, ma soprattutto oltre l’uscita dal tunnel di incertezza e scoramento scavato dalla pandemia, mentre ancora l’ombra mortale della guerra in Ucraina incombe su un tempo incerto e cupo. Su questa foschia s’è levato splendente il sole dei giovani convocati dalla Chiesa e dal Papa ad alzarsi senza esitazioni e a mettersi in cammino “in fretta”, come suggerito dall’episodio evangelico della Visitazione – con la Madonna che, appena dopo l’Annunciazione, esce dalle sue certezze già travolte dalle parole dell’Angelo per andare incontro alla cugina bisognosa –, passo scelto da Francesco come tema fortemente simbolico della Giornata mondiale 2023. Questa gioventù che si carica in spalla l’intera umanità mostrando che ci si deve risollevare per cercare il prossimo rimette corrente nel circuito spento delle relazioni umane. E crea il luogo accogliente per la vita che entra a fiotti con il gioco delle generazioni che alla GMG si sentono sempre più di casa, del tutto a prescindere dall’età.

Se dunque è il legame personale a venire celebrato nella GMG, con quello familiare al centro di ogni relazione come fondamento di quello tra amici che è la cifra dominante di ogni Giornata, colpisce lo scatto culturale di una generazione che mostra al mondo una contagiosa fiducia nel futuro, una speranza prorompente, un ottimismo finalmente recuperato come esperienza naturale dei giovani, e attraverso di loro dell’umano. Proprio il sovrapporsi di questa immagine fortissima con quella delle famiglie giovani con passeggini e porta-enfant, poco più che ragazzi con una o più GMG sulle spalle, induce a scorgere un’apertura alla vita che torna protagonista della mentalità giovanile, sfida aperta a una cultura globale che li martella ripetendogli l’esatto contrario: non si spera, non c’è alcun motivo per essere fiduciosi, l’ottimismo è un’illusione, pensare a metter su famiglia e a procreare è persino pericoloso, una sfida all’incertezza e alla disperazione, se non un attentato al clima e all’ambiente… Dopo un’esperienza come Lisbona, tutte idee che ai giovani reduci dalla GMG non possono che apparire vuote, posticce, ideologiche, non certo valori sui quali costruirci un futuro. Ed è esattamente in questo punto che cambia tutto. Che può cambiare tutto.

Sorride Antoine Mellado, giovane rappresentante della federazione One of Us presso le istituzioni europee, a capo della delegazione di giovani volontari pro-life che nella parrocchia di Nostra Signora delle Grazie a Lisbona ha curato la prima mostra di questa realtà a una GMG, esposizione dedicata a Eroi per la Vita come Jerome Lejeune, Madre Teresa, il re Baldovino (il suo preferito, da buon belga), Gianna Beretta Molla e ovviamente Carlo Casini. Ha visto passare tra i pannelli nell’antico chiostro di questa monumentale chiesa su una delle cento alture di Lisbona (“casa” dei 500 giovani ucraini durante la GMG, e anche questo è a suo modo un segno grande di vita) un flusso ininterrotto di giovani incuriositi da quei personaggi che molti non conoscevano. Dialogando con tanti di loro, insieme ai suoi volontari, Antoine ha notato che tutti restavano come spiazzati di fronte a vite belle e attraenti spese per la vita: davvero si può vivere così? Una lezione che One of Us porta a casa per tutti: mostrare che è possibile una cultura, uno stile, una scelta diversa – anche radicalmente – rispetto a quel che ci viene ammannito dai propalatori di disperazione, che non a caso attraverso i “loro” media hanno ignorato la GMG del milione e mezzo di giovani, un insulto sanguinoso alla professione giornalistica. Una deliberata rimozione di un fenomeno che per lo schemino dei giovani perennemente inetti resta inspiegabile.

Noi che possiamo capire, però, abbiamo il dovere ora di mostrare che sì, è possibile vivere così. Perché c’è nel nostro cuore una speranza invincibile che attende solo di trovare luce per mostrarsi, parole per dirsi. E vita per documentare che non tutto finisce con me. Il futuro passa da Lisbona: e noi l’abbiamo sentito chiamarci per nome.

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