Quel bollettino di guerra, senza speranza… di Pino Morandini
Quel bollettino di guerra, senza speranza: commento alla Relazione ministeriale circa lo stato di attuazione della L. 194/78 (art. 16).
di Pino Morandini
Un bollettino di guerra: aumento degli aborti e del tasso di abortività, di quelli eugenetici, degli aborti recidivi e di quelli delle minorenni, aumento degli aborti farmacologici.
Forse anche peggio: un bollettino di guerra, oltreché snocciolare dati e cifre di morti, annovera accanto ai caduti e ai dispersi, le persone salvate e le vittorie raggiunte. Soprattutto mette in luce che il tragico sacrificio di molti, troppi, s’inquadra in un fine che li trascende, sia esso condivisibile o meno, almeno vorrebbe trovare un senso all’inutile furia bellica.
Quale migliore contesto – per rendere chiaro tale fine, porre in luce gli obiettivi conseguiti tentando di raggiungere quel fine, in tema di attuazione della legge 194/78 – di quello rappresentato dal rispetto della vita del più piccolo e innocente, che chiamano embrione, ma che è l’uomo “più povero dei poveri” (S. Teresa di Calcutta), non avendo altra ricchezza che la sua dignità umana? E con lui, di sua madre, spesso lasciata sola?
Ma far conoscere solo il numero dei morti e non quello dei vivi, che hanno visto la luce per applicazione della legge, viola la stessa l.194/78, che chiede invece di riferire sui suoi effetti anche in ordine alla prevenzione. Questa concerne non solo la prevenzione dei concepimenti, come vorrebbe certa cultura radicale, ma pure la prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto, come conferma l’art. 2 della legge, che considera correttamente prevenzione anche l’aiuto alla donna incinta affinché la gravidanza sia portata a termine. Detta norma, infatti, nell’evidenziare i compiti dei Consultori familiari a sostegno della gestante in difficoltà, sancisce il dovere degli stessi di «attuare direttamente o proporre all’ente locale competente speciali interventi» per far fronte ai problemi generati dalla gravidanza e di «contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna a interrompere la gravidanza».
Sul punto la Relazione non entra nel merito, seppure vi siano spiragli per inferire ciò che si va tratteggiando. Essa evidenzia, infatti, un numero (43.566) di colloqui IVG superiore a quello dei certificati rilasciati (30.088). Ciò, prosegue, «potrebbe indicare la capacità dei servizi consultoriali di aiutare la donna a rimuovere le cause…».
Manca però un tassello fondamentale e utile quantomeno a offrire una compiuta rappresentazione del fenomeno, che altrimenti resterebbe privo di approfondimento per quel terzo che rappresenta il delta di decremento tra i colloqui ed il rilascio dei certificati per poter accedere all’IVG. È cioè doveroso far sapere, sempre nel rispetto dell’anonimato, quali colloqui siano realmente finiti in positivo nell’aiutare la gestante ad accogliere il figlio e quali “speciali interventi” siano stati attuati all’uopo; quali le cause che determinarono nelle donne la richiesta di IVG; quali i motivi che hanno indotto inesorabilmente all’IVG. Solo così è e sarà possibile affrontare e superare quelle cause e quei motivi!
E ancora è doveroso sapere quali iniziative siano state adottate dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti locali per evitare che l’aborto sia usato come contraccettivo (art.1 legge 194); quali collaborazioni siano state avviate (mediante convenzioni, protocolli, ecc.) con le “strutture sociali operanti sul territorio” che hanno il compito di aiutare le maternità difficili o indesiderate; in quanti casi l’IVG sia stata evitata per effetto di aiuti o consulenze da parte delle Istituzioni; quale la ragione delle dichiarazioni d’urgenza che hanno cancellato l’attesa dei 7 giorni dal certificato abortivo; quali le patologie dei nascituri (e quali riscontri diagnostici per accertarle) che hanno motivato l’aborto per motivi di salute della madre dopo i 90 giorni dal concepimento.
Siffatte informazioni non sono state mai fornite dalle Relazioni ministeriali perché non potevano essere ricavate dai moduli predisposti per la rilevazione.
In ogni caso, un’onesta discussione dovrebbe concludersi con l’indicazione di come raccogliere i dati modificando le schede di rilevazione.
A tali fini è dunque doverosa un’urgente modifica di tali schede.
Assai efficace, invece, si rivela la Relazione nel dissolvere a suon di dati l’annosa bugia tesa a criminalizzare i medici obiettori, rei di ostacolare l’effettuazione dell’aborto e di costringere le richiedenti a faticose peregrinazioni in cerca di un ospedale che garantisse il “servizio”. Sono infatti 0,87 le IVG settimanali per ginecologo non obiettore (p.78)!
Dissonante invece appare la semplice constatazione (p.70) che l’aborto farmacologico si effettua anche nei Consultori familiari, operazione autorizzata con circolare del Ministro della Salute della scorsa legislatura in pieno periodo ferragostano. Perché siffatta modalità abortiva non solo lascia sovente la donna in totale solitudine (contraddicendo la ratio della legge), non solo stravolge le nobili ragioni per cui sono nati i Consultori (aiuto alla maternità, alla vita, alla famiglia, L.405/75), ma evidenzia pure l’illegittimità della circolare stessa, in quanto violativa della legge 194/78, alla cui stregua l’aborto deve essere effettuato in struttura ospedaliera.
Perché non disapplicare siffatta circolare, del resto palesemente illegittima, come ha fatto il Piemonte?
Perché, infine, in siffatto contesto non certo esaltante, non dare spazio alla speranza?
Essa esiste e dice coi fatti che è realmente possibile un’alternativa all’aborto. È il pluridecennale servizio dei Cav, che offrono alla gestante accoglienza, ascolto, compagnia, sostegno.
280 mila sono i bambini aiutati a nascere dai Cav in Italia e migliaia le mamme seguite. Di esse nessuna si è mai pentita della scelta positiva effettuata!
È un servizio offerto a chiunque, quindi pubblico, nel nome della dignità di ogni vita umana, una sorta di “supplenza” delle Istituzioni, cui spetterebbe il compito primario di difendere la vita dei cittadini.
Perché lo Stato non mutua da quel servizio un possibile concreto percorso di promozione della vita prenatale, reso ancor più urgente dall’attuale glacialità demografica?