La dignità stravolta
Intervista a don Lorenzo Rossetti /1
Il 4 marzo e l’11 aprile 2024 la Francia e l’Europa hanno decretato una vittoria della cultura della morte dichiarando l’aborto un ‘diritto’. Cerchiamo di capire insieme a Carlo Lorenzo Rossetti di Valdalbero, storico, filosofo, teologo, saggista, presbitero missionario perché si può parlare di “dignità stravolta” e come “dalla sacralità della vita” si è arrivati “alla libertà di abortire”.
Pubblichiamo la prima parte dell’intervista a don Lorenzo Rossetti. Nei prossimi numeri del Sì alla Vita leggeremo il seguito.
di Elisabetta Pittino
1. A marzo in Francia prima in UE poi l’aborto è stato definito diritto per legge: in che senso si può parlare di ‘dignità stravolta’?
Il 4 marzo, i parlamentari e senatori francesi hanno votato a larghissima maggioranza la costituzionalizzazione della “libertà garantita” della interruzione volontaria di gravidanza. L’11 aprile, il Parlamento europeo ha approvato una “risoluzione” per inserire il medesimo diritto di aborto all’interno della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE. Quello che sorprende e su cui bisogna riflettere è che entrambe le istanze, ossia il libertarismo secolare franco-europeo e il magistero cattolico si richiamino in fondo al medesimo concetto di “dignità” che era definita da Hannah Arendt “il diritto ad avere diritti”.
La risoluzione del Parlamento europeo propone che il diritto all’aborto modifichi l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Nizza 2000; Lisbona 2007) inserendo questa dicitura: «Ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale». Si sollecitano poi gli Stati membri della UE a eliminare gli “ostacoli” all’aborto. Perciò, si “richiamano” Polonia e Malta affinché abroghino le loro norme e altre misure che impediscono e restringono l’accesso all’aborto. Ulteriore grave novità è il fatto che si deplori che in alcuni Stati, come l’Italia, l’aborto sia reso difficile a causa dell’obiezione di coscienza dei medici. L’ideale per l’Europarlamento è che i metodi e le procedure abortive diventino parte obbligatoria del curriculum degli studi medici. Tutto questo in nome del progresso e dell’emancipazione, della liberazione e della crescita nei diritti. Impressiona in entrambi i casi, la maggioranza schiacciante con cui la proposta di costituzionalizzazione e la risoluzione sono state approvate: a Versailles 780 voti contro 82 e 50 astenuti; a Strasburgo 336 voti contro 163 e 39 astensioni. Cristianamente salta agli occhi l’eclatante abbaglio davvero malefico, per cui il male si riveste di bene (2Cor 11,14).
Di fatto, la vera dignità è “amoris munus”, cioè, dono/dovere di amore: l’essere, cioè, portatori di qualcosa di sacro che ci rende prima di tutto “oggetti” e poi “soggetti” di amore. Tale caratteristica intrinseca potrebbe definirsi “sacro-santità”: io sono “sacro”, cioè degno di essere rispettato e amato per me stesso (dignità ontologica); ma anche chiamato a diventare “santo”, cioè capace di rispettare e amare gli altri per sé stessi (dignità etica). Tale dono/missione viene, ultimamente da Dio creatore ed è rivelato in pienezza da Gesù Cristo. Ma una sana riflessione laica può arrivare a coglierne l’essenza. Fu questa la grande intuizione di Kant con la sua nozione di Würde, che tanto influsso ebbe poi nella vigente Costituzione tedesca, il cui Preambolo fa esplicito riferimento a Dio. Anche la già menzionata Carta dei Diritti fondamentali dell’UE promuove la dignità sin dal suo primissimo articolo: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata», col seguente articolo 2: «Diritto alla vita. 1. Ogni individuo ha diritto alla vita». Purtroppo tale testo non accenna ad alcun fondamento della dignità.
Nel caso che ci occupa, lo “stravolgimento” della dignità sta nel fatto inoppugnabile, che in nome della “dignità” della donna (cioè, del suo valore intrinseco e della sua capacità di agire liberamente), le si concede il diritto di eliminare un’altra vita umana iniziata nel suo grembo. Della “dignità” di quella vita incipiente non si parla. A tale aberrazione non si era mai giunti. Ci aspetta quindi una ingente lotta culturale e politica a tutto campo a favore della vera dignità dell’uomo.
2. Che senso dare alla pubblicazione della Dichiarazione vaticana “Dignitas Infinita” proprio in mezzo a questi due momenti?
Un piccolo, ma non irrilevante segno da notare (forse non una mera coincidenza) è che proprio in mezzo alle due date, pur tanto ravvicinate 4 marzo 11 aprile, sia stata approvata dal Romano Pontefice e poi pubblicata la Dichiarazione “Dignitas infinita” (2 e 8 aprile) ad opera del Dicastero per la Dottrina della Fede. Questo documento fa un bilancio del magistero recente e ribadisce con forza la condanna, proprio in nome della dignità umana, dell’aborto considerato uno dei peggiori crimini perpetrati a danno dei più innocenti. Contrastando la deriva individualistica e soggettivistica che ha portato alla mentalità abortista, il magistero ecclesiale con Dignitas infinita ha puntualmente ricordato, al n. 47, citando papa Francesco che «la dignità di ogni essere umano ha un carattere intrinseco e vale dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale. Proprio l’affermazione di una tale dignità è il presupposto irrinunciabile per la tutela di un’esistenza personale e sociale, e anche la condizione necessaria perché la fraternità e l’amicizia sociale possano realizzarsi tra tutti i popoli della terra». E con s. Giovanni Paolo II che: «fra tutti i delitti che l’uomo può compiere contro la vita, l’aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile» (Evangelium vitae, 58). Il documento cita pure la denuncia, quanto mai attuale e profetica, del Papa polacco che «oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente oscurandosi. L’accettazione dell’aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno. A tale proposito risuona categorico il rimprovero del Profeta: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5, 20). Proprio nel caso dell’aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di “interruzione della gravidanza”, che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell’opinione pubblica. Forse questo fenomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze. Ma nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita» (EV, n. 58).
3. Come si è potuto passare da una visione della “sacralità della vita” a quella che sostiene la “libertà di abortire”?
Il punto è che siamo passati da una visione largamente condivisa dell’essere umano come persona, cioè come creatura unica e particolare (“a immagine di Dio”), dotata di un’anima e quindi di un rapporto con Dio che lo rende sacro a una visione meramente antropocentrica: l’essere umano come detentore di alcune facoltà, la ragione e la volontà, che lo rendono libero e autonomo, e quindi capace di autodeterminarsi. Sono due visioni dell’uomo distinte e distanti: da un lato la vita e la persona come dono, come creatura filiale di Dio, meritevole, per il fatto stesso di esistere, di essere rispettata e curata; dall’altro un umanismo immanente, fondato sulla percezione che l’essere umano si realizza come libertà, e quindi – si dice – con il diritto ad autodeterminarsi.
Dal punto di vista argomentativo, la sessione avvenuta a Versailles, con forti toni retorici, poggiava praticamente su una medesima rivendicazione: il diritto della donna a disporre del proprio corpo. Nel suo discorso, il Primo ministro francese, G. Attal, ricorre per ben sei volte a tale espressione! «libertà di disporre del proprio corpo»; «libertà delle donne di disporre del proprio corpo… libertà di controllare il proprio corpo… il loro diritto al controllo del proprio corpo…la libertà delle donne di controllare il proprio corpo… la libertà delle donne di disporre del proprio corpo»[1]. Non ci si rende conto che siamo qui sul ciglio del suicidio della società: se questo presunto diritto è vero che cosa impedisce di disporre del proprio corpo a fini commerciali, prostituzione, utero in affitto, zoofilia, suicidio…
4. Alludeva alla dignità, definita da Hannah Arendt come “il diritto ad avere diritti”, ma chi ha diritto ad avere diritti?
Ogni essere umano ha dignità e quindi diritto ad avere diritti. E l’essere umano è il portatore di un codice genetico umano. La grande tradizione occidentale nutrita di umanesimo classico e biblico sapeva coordinare il valore sacro dell’uomo in quanto capax Dei / capax virtutis (dignità ontologica) con la sua chiamata a rispondere e quindi a compiere tale vocazione (dignità morale): il passaggio intuito dai Padri della chiesa dall’immagine alla somiglianza. Questo dato è menzionato in Dignitas infinita: «pur possedendo ciascun essere umano un’inalienabile ed intrinseca dignità fin dall’inizio della sua esistenza come un dono irrevocabile, dipende dalla sua decisione libera e responsabile esprimerla e manifestarla fino in fondo oppure offuscarla…L’immagine di Dio è affidata alla libertà dell’essere umano affinché, sotto la guida e l’azione dello Spirito, cresca la sua somiglianza con Dio e ogni persona possa arrivare alla sua più alta dignità. Ogni persona è chiamata infatti a manifestare a livello esistenziale e morale la portata ontologica della sua dignità nella misura in cui con la sua propria libertà si orienta verso il vero bene, in risposta all’amore di Dio. Così, in quanto è creata ad immagine di Dio, da una parte, la persona umana non perde mai la sua dignità e mai smette di essere chiamata ad accogliere liberamente il bene; d’altra parte, in quanto la persona umana risponde al bene, la sua dignità può liberamente, dinamicamente e progressivamente manifestarsi, crescere e maturare» (Dignitas infinita, n. 22). Il cristianesimo rivela nel modo più potente la dignità sacra di ogni essere umano in quanto interlocutore di Dio (si ricordi questa parola di Gesù: «Io ho detto: voi siete dèi? … ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio»; Gv 10,34s) perché quel Dio che si rivolge all’uomo è Padre, Amore infinito primo e personale. Ma «senza il Creatore la creatura svanisce» (GS 36) e senza la vocazione paterna, la dignità filiale si estenua. Occultare questo fondamento teologico della dignità umana come fa la cultura odierna determina un prevalere incondizionato dei diritti sui doveri e una visione decisamente dis-sacrante dell’essere umano. Senza anima, senza relazione con Dio che ci ama prima e più di tutti, l’individuo perde ogni reale valore intrinseco; il corpo non è più un dono da accogliere con amore, bensì un possesso da gestire a proprio arbitrio.
5. Simone Veil negli anni 70 non riteneva l’aborto un diritto…
Infatti! Ovviamente molti degli intervenuti al dibattito francese si sono richiamati al nome di Simone Veil; pochi però hanno citato le sue affermazioni, nel novembre 1974[2]. In quell’occasione, presentando il progetto di Legge che depenalizzava l’IVG per evitare gli aborti clandestini, la politica francese sosteneva che: «nessuna donna ricorre volontariamente all’aborto. Basta ascoltare le donne. È sempre un dramma e rimarrà sempre un dramma». Ella riconosceva come incontestabile «che, sul piano strettamente medico, l’embrione porti definitivamente in sé tutte le potenzialità dell’essere umano che diventerà» e ammetteva pure che è solo «il divario tra ciò che è soltanto un futuro per il quale la donna non ha ancora un sentimento profondo, e ciò che è il bambino fin dal momento della sua nascita, tranne che per le donne spinte da una profonda convinzione religiosa, che spiega perché alcune, che rifiuterebbero con orrore la mostruosa possibilità dell’infanticidio, si rassegnino a considerare la prospettiva dell’aborto». Inoltre dopo aver specificato che l’interruzione della gravidanza sarebbe «effettuata solo da un medico», rispettava come allant de soi «che nessun medico o assistente sanitario sarà mai tenuto a partecipare», salvando così la sacrosanta obiezione di coscienza. Il suo progetto di legge vietava «l’incitazione all’aborto con qualsiasi mezzo perché tale incitazione resta inammissibile». Per la Veil la nuova legge, fatta per applicarsi a situazioni individuali, spesso angoscianti pur non vietando più l’IVG non creava «alcun diritto all’aborto». Infine, ella confidava che pur propugnando il suo progetto, «nessuno può provare profonda soddisfazione nel difendere un testo del genere…: nessuno ha mai contestato, e men che mai il Ministro della Salute, che l’aborto sia un fallimento quando non è una tragedia [un échec quand il n’est pas un drame]».
A dispetto di queste cautele della Veil – nelle quali solo la malafede vede un ipocrita tatticismo politico – l’attuale Premier francese si è invece compiaciuto di ricapitolare il cammino trionfale del progresso in materia di aborto dal 1975 a oggi: nel 1982 il rimborso da parte della previdenza sociale; nel 2001 la possibilità di abortire fino alla dodicesima settimana; nel 2013 il miglioramento dell’accesso all’aborto in tutto il Paese con rimborso completo; nel 2014 l’abolizione della nozione di “disagio”, precedentemente necessaria; nel 2016 l’estensione di “reato di ostruzione all’aborto” ai siti web di attivisti pro-life veicolanti false informazioni; nel 2022 l’eliminazione di qualsiasi proroga temporale e ostacolo per il ricorso all’aborto; nel 2024 «la marcia del progresso ha lasciato il segno». Il medesimo capo di governo può dichiarare quindi con afflato lirico e sciovinistico: «Oggi la Francia è pioniera. Oggi direte al mondo che, sì, la Francia è fedele alla sua eredità, alla sua identità di nazione come nessun’altra: un paese faro dell’umanità, patria dei diritti umani ma anche – e soprattutto – dei diritti delle donne. Oggi, attraverso il vostro voto, è l’intera Nazione che prende in mano il suo destino e che osa essere il primo popolo al mondo a iscrivere nel suo testo supremo la libertà delle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Con questo gesto non onorate solo le donne, ma anche la Francia. Questa Francia del 2024, più aperta di quanto pensi; questa Francia del 2024 che osa ciò che nessun popolo al mondo ha ancora considerato; questa Francia del 2024 che sa riunirsi, mobilitarsi e difendere ciò che è allo stesso tempo un diritto, una libertà e un onore [(sic!) corsivo nostro]; questa Francia del 2024 che cambia la sua Costituzione e suggella così la consacrazione di una libertà fondamentale; questa Francia del 2024 che può dire con orgoglio al mondo intero: “Sì, in questo giorno, la libertà è francese!”».
Ecco il periplo compiuto: l’aborto da dramma a diritto; da decisione angosciante, a indiscussa e legittima autodeterminazione. In nome della libertà individuale la cultura della morte trionfa.
6. Il grande assente dei dibattiti è l’enfant, il bambino/a concepito/a, figlio/figlia…perché questo “silenzio assordante”?
Certo. Ed è sintomatico che praticamente nessuno, durante le dichiarazioni di voto in Congresso a Versailles, abbia menzionato questo tema. Che di fatti è il punto dolente di tutta la questione. Si potrebbe convenire sull’autodeterminazione sul proprio corpo; ma che ne è dell’organismo nuovo che sorge con il concepimento e che cresce con la gestazione? Per il “popolo della vita” si tratterà quindi di contrastare con serena competenza il “neo-oscurantismo ideologico” che prevale oggi in molti strati della società e nei partiti politici e che consiste nel non prendere atto di quanto la biologia, cioè la scienza stessa, ci dice circa l’indole individuale e umana del concepito. Si pensi qui solo all’opera del prof. Giuseppe Noia. È indispensabile porsi la domanda se l’embrione umano sia “qualcosa o qualcuno” (cf. l’omonimo libro di G. M. Carbone). In merito, il succitato documento vaticano Dignitas infinita ricorda, con l’attuale pontefice, che i bambini nascituri sono «i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo» e che «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo» (Evangelii guadium, n. 213). Da qui l’avvertenza che la «difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno». Il paragrafo dedicato all’aborto si conclude ricordando «il generoso e coraggioso impegno di santa Teresa di Calcutta per la difesa di ogni concepito» (Dignitas infinita, n. 47; corsivo nostro).
7. Può esistere libertà senza dignità, o con una dignità limitata solo ad alcuni esseri umani?
La libertà che non si declina con la verità dell’uomo, si autodistrugge. Nella fattispecie la verità dell’uomo collima con la sua dignità “filiale”, che è il suo essere amato da Dio e dagli altri e il suo poter rispondere a tale amore con l’amore. Una libertà fuori da questo orizzonte finisce per degenerare in libertarismo e quindi in licenza. Senza responsabilità verso Dio e verso gli altri, si va incontro all’esacerbazione dell’individualismo soggettivistico che porta alla progressiva elefantiasi dei diritti (con rivendicazioni assurde, come la pretesa di imporre agli altri il proprio sentimento di auto-identificazione di genere) e all’estenuazione di qualsiasi sano senso del dovere.
8. Di fronte all’aggressione contro la vita, contro la donna e l’uomo, cosa fare?
Gli amanti della famiglia e della vita hanno un compito sociale e culturale enorme. Si tratta di annunciare con forza la bellezza della coppia uomo-donna e del dono naturale della vita. Occorre essere paladini della vita in tutte le sue forme: accoglienza del nascituro, del rifugiato, del vulnerabile, dell’orfano ecc. Ma ad ogni “Sì” corrisponde un franco “No” da dare a menzogne e inganni. Oltre l’aborto, evidentemente oggi si pone la questione della maternità surrogata e del “fine vita”. Sempre in chiave “profetica” occorre pure denunciare il male della “diseducazione” sessuale che si sta imponendo ai nostri giovani con i sedicenti corsi all’affettività e alla salute sessuale (cf. ALIAS, EAS, Evras ecc.) tutti nella linea dei micidiali “Standards per l’educazione sessuale in Europa”. Tale testo, emanato dall’Ufficio europeo dell’OMS unitamente al tedesco BZgA (“The Federal Centre for Health Education”), nel 2010 è stato poi oggetto di un rigoroso piano di “implementazione” a partire dal 2012. Questi sciagurati programmi scolastici sono sostenuti da lobbies vicine a istituzioni come l’abortificio IPPF che penetrano in modo pervasivo in tutti gli ambiti della comunicazione, dal cinema, ai mass media, ai social networks ecc. Non stupisce se la stragrande maggioranza dei giovani educati alla sessualità con categorie anarco-libertarie ed edoniste si trovino consenzienti a considerare l’aborto un diritto fondamentale. Si tratterà in primis di riorientare l’annuncio del Vangelo in chiave dichiaratamente teologale additando Dio come la Fonte trascendente della nostra sacralità che ci chiama alla santità.
In positivo: una delle rare buone notizie della primavera 2024 è stata quella del numero crescente di giovani e adulti battezzati a Pasqua in Francia e in Belgio[3], proprio due di quei Paesi in cui l’aborto e di conseguenza l’eutanasia sono maggiormente fomentati. Tale indicazione è segno che la prima risposta pastorale da dare a questa immane crisi è quella di procedere ad una coraggiosa e forte impulsione all’evangelizzazione di tipo kerigmatico-catecumenale. Senza il primo annuncio della salvezza, accompagnato da un’attività di crescita graduale nella fede, ogni opera socio-culturale sarà priva di autentica anima.
Più in generale, occorre cercare di penetrare la cultura, specie giovanile, entrando anche nelle reti sociali con contenuti forti e credibili, ragionevoli e amorevoli, idonei a proporre la bellezza della verità umana e cristiana. In questo senso vanno salutate personalità come Mons. R. Barron e i coniugi Jason e Crystalina Everet, negli USA, p. Paul-Adrien, op in Francia, il prof. John Lennox in Inghilterra, Agustin Laje in Argentina e tanti altri. Tutto ciò, dovrebbe evidentemente essere sostenuto da una chiesa che possa dare davvero i segni dell’amore e dell’unità quali precondizioni di credibilità secondo l’esortazione bergogliana: «che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate…Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti» (EG n. 99). Ci vuole una vera e propria “sinergia intra-ecclesiale”, un convergere dei cattolici verso la medesima appartenenza e la comune missione oltre la nefasta e oggi, ahimè imperante, “polarizzazione” intra-cattolica. Come non condividere questa affermazione dei coniugi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti: «non ci sono i cristiani che si occupano della vita (di destra) e quelli che si occupano della giustizia sociale (di sinistra). Quelli che tutelano l’embrione (di destra) e quelli che vogliono accogliere gli immigrati (di sinistra). C’è un’unica questione, che ha a che fare, appunto con la “cattolicità”: tutto l’uomo e tutti gli uomini» (La scommessa cattolica , p. 185).
Ma soprattutto, non sarà possibile arginare il potere seducente dell’individualismo libertario ed edonista, foriero di cultura di morte, senza una riforma ecclesiale in senso evangelico ed ecumenico capace di riunire i credenti intorno all’essenziale: ripartire dall’amore, riscoperto come dono di Dio che ci realizza e valorizza, condiviso nella gioia fraterna. Solo la felicità del sapersi amati e dell’amarsi reciprocamente potrà riportare anche nella società un afflato di rispetto per la vita.
[1] Cf. le prossime citazioni in (in nostra traduzione)
[2] (traduzione e corsivi nostri).
[3] Cf. p.e.