Il Magistero Pontificio in difesa della vita

Brevi riflessioni su alcuni aspetti del recente Magistero Pontificio in difesa della vita alla luce della legge naturale

di Hilaire Kouaho, sacerdote della diocesi di Roma, docente di filosofia del diritto presso l’Università Cattolica del Madagascar

1. La voce di Dio nel cuore dell’uomo

         Le primissime pagine della Sacra Scrittura si aprono con la rivelazione di questo stupendo progetto di Dio, quello di creare l’uomo «a sua immagine» (Gn 1,26-27). Da lì nasce il carattere sacro di ogni essere umano la cui vita acquista al contempo la nota dell’inviolabilità. Non a caso lo stesso uomo viene investito della nobile e irrinunziabile missione di essere “custode” del proprio fratello. Tutto il nuovo testamento sarà allora una risposta alla lancinante domanda di Caino “sono forse io il custode di mio fratello?”. La parabola del buon samaritano appare dunque come la risposta alla domanda di Caino.

         Prendersi cura del prossimo, soprattutto quando non può decidere per sé, ecco la sfida alla quale ogni uomo è chiamato e il motivo per cui la Chiesa ha sempre difeso la vita nascente contro il crimine dell’aborto procurato[1].

         Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae definirà l’aborto come “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”. E ancora il Papa riafferma “la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di «interruzione della gravidanza», che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell’opinione pubblica (…) è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze”[2].

         La coscienza, questo santuario dove risuona la voce di Dio in tutti gli uomini indipendentemente della loro fede, appare come il luogo dove “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore (…). L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore[3].        Il discorso sulla sacralità della vita umana e sul conseguente rifiuto dell’aborto appare dunque non tanto come una legge scritta imposta all’uomo, quanto un monito della legge naturale iscritta nel cuore, che ha Dio per autore e che l’uomo può cogliere mediante la luce della sua ragione[4]

         Sin dai primi secoli, la Tradizione della Chiesa ha sempre fatto della difesa della vita uno dei pilastri dei suoi insegnamenti, sottolineando come l’aborto fosse una violazione del quinto comandamento del Decalogo riaffermando così ciò che sia la legge naturale sia la legge divina rivelata hanno sempre consacrato: la grave illeceità morale dell’aborto [5].  

         L’uomo scopre in fondo alla sua coscienza la legge naturale, questa legge della nostra comune essenza umana che ci porta ad adeguare la nostra condotta ai fini essenziali iscritte da Dio nella nostra natura umana[6].

         Ogni uomo è capace di capire ciò che gli spetta e ciò che spetta agli altri in una prospettiva dove il bene comune insegna a dare ad ognuno ciò che è suo. È un vero dovere di giustizia richiesto dalla legge naturale. Il diritto alla vita diventa dunque un vero dovere di giustizia nei confronti del nascituro.

2. Una Chiesa maestra di fronte ad un crimine verso i più indifesi

         La Chiesa ha sempre visto l’aborto come un crimine che “si impone alla coscienza umana come un atto contro il creatore e contro la sua creatura più indifesa” Ma va sottolineato che la prima aggressione è contro “la coscienza retta e contro il decorso naturale della vita”. Il carattere ingiusto e irrazionale dell’uccisone di questo “essere umano innocente” appare in tutta la sua assurdità perché l’uomo è sulla terra l’unica creatura che Dio ha voluto per sé stesso”[7].

         Di fronte al cosiddetto sviluppo delle società dove l’aborto viene legalizzato, Papa Benedetto XVI ricorda che “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo” (…) Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono[8].

         L’Enciclica Evangelium Vitae ricordando la vocazione soprannaturale di ogni essere umano che trascende la sua esistenza terrena (n.2), scopre nell’uomo, in ogni uomo, un essere affidato alla sollecitudine materna della Chiesa (n. 3). Ecco perché potrà, ed è diritto originario della Chiesa, condannare il delitto dell’aborto che pretende rivestirsi della prerogativa del diritto (n. 11) in continue rivendicazioni di legalizzazioni da parte degli Stati. Tutto ciò in nome di una errata concezione della libertà[9].

         Il rispetto e la promozione della vita sono quindi l’espressione del più grande comandamento, quello dell’amore (cfr. Mc 12, 29-31) che riserva preferenze per i più piccoli e quindi anche per la vita umana non ancora nata (cfr. Sal 139,13-16). Non dimentichiamo che saremo giudicati in funzione di ciò che avremo fatto per i più piccoli, i più indifesi, (cfr. Mt 25, 35-40)[10].

         Una vera etica presuppone una sana metafisica. Ecco perché la strenua difesa che fa la Chiesa per la vita è in realtà un arginare la sempre più diffusa cultura della morte che pervade e che riduce la vita ad alcuni parametri di qualità, evacuando la dimensione della trascendenza e della conseguente dignità della persona umana.

         La ricerca della verità e del bene è un viaggio da intraprendere da ogni uomo ascoltando il richiamo della voce della retta ragione. L’individuo, distaccato da ogni supporto comunitario e sociale e preso nella vertiginosa pretesa di autonomia, intriso di relativismo nella sua pretesa di conquista di diritti, si ritrova a negare ai più indifesi il primo dei diritti fondamentali: il diritto alla vita.

3.Una Chiesa madre verso chi ha peccato

         La Chiesa, maestra in umanità non abbandona però quanti si sono macchiati del crimine dell’aborto e rivolge loro un appello alla Riconciliazione con le loro persone, con i loro figli non nati e con Dio. La Chiesa non dimentica mai la sua missione di salvezza offerta a tutti e a tutte, anche per chi ha sbagliato, anche perché riconosce “tanti condizionamenti (che) possono aver influito nella presa di decisioni così dolorose e riconoscendo che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. (..) invita a non cedere allo scoraggiamento e a non perdere la speranza”[11]. E papa Francesco che proclama ancora, a conclusione dell’anno della misericordia, “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”[12].

           Questa sollecitudine della Chiesa verso la donna e l’uomo feriti dalla piaga dell’aborto è una costanza della missione della Chiesa perché, come lo proclamava Giovanni Paolo II in un suo grido programmatico del suo pontificato nascente, l’uomo, “è la prima e fondamentale via della Chiesa”[13]


[1] “Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana.” Francesco, Evangelii Gaudium, 214, 24 novembre 2013 in AAS 105 (2013) 1019-1137.

[2] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium Vitae,58, 25 marzo 1995, in AAS 87 (1995), 401-522.

[3] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et Spes, 16 : AAS 58 (1966) 1025-1120.

[4] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q.94, a.2.

[5] “La Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da essi i costumi cristiani. Nella Didachè è detto chiaramente: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato”. Atenagora sottolinea che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna chi assassina i bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, dove si ritiene che essi “sono già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina”. Tertulliano non ha forse tenuto sempre il medesimo linguaggio; tuttavia egli afferma chiaramente questo principio essenziale: “È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà”. Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede Declaratio Quaestio de abortu procurato, n°6, 19 novembre 1974, AAS 66 (1974), pp. 730-747.

[6] Conoscere la legge naturale è dare spazio alla ragione dove si riflette la legge eterna di Dio, la quale porta a conoscere ciò che è più intimo nell’uomo, il suo anelito verso la verità e il bene. Ciò che fa di lui un uomo. 

[7] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, Introductio, 5: AAS 80 (1988) 76-77; cf anche Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes, 51 che ricorda come “Dio padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli”.  

[8] Benedetto XVI, Lettera Enciclica   Caritas in veritate ,n. 51 (29 giugno 2009) in AAS101 (2009), 641-709.

[9] “Rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri.  Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae, n.20, (25 marzo 1995), in AAS 87, (1995) 401-522. 

[10] “Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure, questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. E’ un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno (…)” Francesco, Evangelii Gaudium, 213.   

[11] Cf. Ibidem, 99.

[12] Francesco, Lettera Apostolica Misericordia et Misera, n. 12, (20 novembre 2016) in AAS 108 (2016), 1311.1327.

[13] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris Hominis, n. 14, (4 marzo 1979) in AAS 71 (1979), 257-324.

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