Fatta la legge trovato l’inganno

“Fatta la legge trovato l’inganno”, viene da pensare dopo avere letto l’ottimo articolo del prof. Francesco Farri, Il reato di surrogazione di maternità: profili giuridici, che approfondisce in modo molto esaustivo le ragioni e le implicazioni penali del reato in questione. Resta allora da domandarsi perché in Italia si assiste, nonostante la legge, ad un numero così elevato di bambini comprati attraverso la pratica dell’utero in affitto e alla sua pubblicizzazione.

di Simone Tropea

Il “reato di maternità surrogata” non sfugge alla dinamica antica e sempre attuale di trovare un sotterfugio per eludere la normativa vigente. La giurisprudenza italiana ritiene che l’utero in affitto sia un reato penalmente perseguibile, perché si tratta, di fatto, di una “tratta di bambini” che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (Sentenza della Corte di Cassazione, 272/2017). Perché in Italia si assiste, nonostante la legge, ad un numero così elevato di bambini comprati attraverso la pratica dell’utero in affitto. Si pensa di solito che la maternità surrogata sia un fenomeno legato al mondo omosessuale. In realtà le cose sono molto più complesse. Sia single, che coppie eterosessuali, infatti, oltre naturalmente a quelle dello stesso sesso, si rendono colpevoli di questo reato. Per ognuno di questi casi occorre comprendere il meccanismo che si innesca nel momento in cui si va a riconoscere ai criminali la filiazione del minore. Reato che riguarda i funzionari dell’anagrafe, non meno di quanto riguardi i committenti o gli agenti che hanno organizzato il traffico dei bambini. Le aziende che vendono i bambini e gestiscono l’intero processo dell’affitto dell’utero hanno sede legale nei paesi dove questa pratica è ammessa, e logicamente non devono rispondere alla normativa italiana in materia. Ciò rende l’utero in affitto un caso esemplare di “turismo bioetico”. La filiazione del minore, all’estero, è attribuita al padre biologico del bambino (il donatore dei gameti maschili), e solo in un secondo momento al suo/la sua partner. Nei paesi dove è previsto il matrimonio omosessuale e la possibilità dell’adozione per coppie dello stesso sesso, è facile ottenere l’adozione per il secondo elemento della coppia – quello che non ha alcun legame biologico con il bambino – facendo leva su un “ricatto giuridico”, che è quello del “bene superiore del minore”, sancito dalla dichiarazione internazionale sui diritti del fanciullo di New York. Il discorso vale pure, e ancora più immediatamente, nel momento in cui il secondo partner è una donna, che diventa così la madre “adottiva” del bambino, in assenza di quella biologica. La quale, nel paese in cui è avvenuta la gravidanza e il parto, ha rinunciato – per contratto – alla sua genitorialità legale. Semplificando per i non addetti ai lavori, possiamo dire che, in quasi tutti i paesi che non ammettono la maternità surrogata: la madre biologica del bambino non riconosce legalmente il figlio, che resta quindi legato giuridicamente solo al padre biologico, e viene adottato, in un secondo momento, dal suo/dalla sua partner. Le legislazioni locali, in definitiva, si richiamano alla convenzione di New York, e chiudono un occhio sulle modalità che hanno portato alla nascita di quel bimbo. Di fatto, attraverso questo ricatto giuridico, la legge locale è elusa, e la pena per l’utero in affitto è inattuata. In Italia, lo stesso principio dell’interesse superiore del minore si ritrova nell’art. 2 della Costituzione, che trova un suo strumento attuativo nella “procedura di adozione in casi particolari”, prevista dall’ordinamento italiano (art. 44 comma 1 lett. d della Legge 184/83). In più di una sentenza, l’interpretazione dell’art. 2 è stata restia a riconoscere la genitorialità legale a membri di coppie che hanno ottenuto un bambino mediante utero in affitto, ritenendo questo passaggio un elemento decisivo per decretare l’inaffidabilità della coppia stessa. Ma non sempre ciò è avvenuto, anzi, nella maggior parte dei casi, laddove non è intervenuta direttamente la Corte Costituzionale, l’attribuzione di genitorialità da parte dei criminali è stata ottenuta con una banale iscrizione del bambino all’anagrafe, e quindi con la connivenza dei funzionari comunali. Ad oggi, l’elemento della discrezionalità dell’impiegato dell’anagrafe è decisivo. A questo proposito, la Corte Costituzionale a chiesto al legislatore di intervenire con una legislazione più esplicita, che tenga in conto pure le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il problema è che per la CDU costituisce tutela sufficiente per l’interesse del minore quella in grado di stabilire un legame di vera e propria filiazione, con modalità che garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera. Questa indicazione, tanto vaga quanto ambigua, spinge il legislatore verso un’interpretazione semplicistica della dichiarazione dei diritti del fanciullo che si presta alle strumentalizzazioni attuali. Ecco perché, ad oggi, la legislazione sulla maternità surrogata, è un vero e proprio caso internazionale che interpella la razionalità giuridica ma ancor prima filosofica e antropologica degli stati europei, i quali sono esposti al rischio di soccombere, per una fallace strumentalizzazione di un principio di per sé valido, alle imposizioni di un mercato che riduce a merce il corpo delle donne e tratta i bambini come meri prodotti di scambio.

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