Il reato di surrogazione di maternità: profili giuridici
1. Il reato di surrogazione di maternità. – 1.1. I soggetti punibili – 1.2. Le condotte punibili. – 1.3. La punibilità del delitto tentato. – 1.4. La punibilità dei concorrenti nel reato. – 1.5. Il bene giuridico protetto. – 2. Il requisito di territorialità e la possibile configurazione di un reato universale. – 3. Le conseguenze sull’ordine pubblico internazionale italiano. – 4. La compatibilità del sistema italiano con il diritto internazionale e, in particolare, con la CEDU e l’estraneità del tema alle attribuzioni dell’Unione Europea.
di Francesco Farri[1]
1. Il reato di surrogazione di maternità
L’articolo 12, comma 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, stabilisce che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
Concentrando l’attenzione sulla fattispecie relativa alla surrogazione di maternità, essa presenta i seguenti contenuti e le seguenti caratteristiche giuridiche.
1.1. I soggetti punibili
La surrogazione di maternità è un delitto cd. “comune”: esso può essere integrato per effetto della condotta di chiunque, non soltanto di soggetti dotati di speciali qualificazioni giuridiche. In particolare, nessuna rilevanza presenta, ai fini dell’integrazione del soggetto attivo del reato, se il soggetto che richieda o pratichi la surrogazione sia affettivamente singolo o inserito in una realtà di coppia e, in questo secondo caso, se si tratti di una coppia eterosessuale oppure omosessuale. Del resto, una simile differenziazione produrrebbe una violazione del principio di uguaglianza, ossia risulterebbe discriminatoria, nella misura in cui conferirebbe rilevanza a un elemento (l’orientamento sessuale di alcuni soggetti) del tutto irrilevante rispetto al bene giuridico protetto dalla norma, ossia la dignità della persona umana e l’interesse del nascituro. Il reato è punibile, pertanto, sia che la surrogazione sia commissionata da eterosessuali che da omosessuali.
1.2. Le condotte punibili
La surrogazione di maternità è un delitto cd. “di pura condotta”: il reato viene integrato per il sol fatto di realizzare, organizzare o pubblicizzare la maternità surrogata, non essendo necessario, ai fini sanzionatori, che la maternità sia portata a compimento con il parto. Tanto meno la punibilità è subordinata al fatto che il nato sia assegnato di fatto o di diritto ai committenti.
Nel dettaglio, il delitto si configura con condotte alternative. Tre sono, infatti, le condotte incriminate ed è sufficiente il compimento di anche una soltanto di esse affinché il reato sia consumato.
(A) La prima possibile condotta è rappresentata dalla realizzazione di pratiche di surrogazione di maternità, ossia condurre una gestazione per conto di un terzo, con l’impegno di consegnare il nato al terzo stesso (o altro soggetto dal medesimo indicato). La condotta è, quindi, caratterizzata da un duplice elemento: la conduzione di una gestazione da parte di una donna; l’impegno della gestante a consegnare il nato a un soggetto, per conto del quale ha portato avanti la gestazione, privandosi di tutti o alcuni diritti ordinariamente riconosciuti alla partoriente. In ciò si traduce quel fenomeno di sostituzione che della surrogazione costituisce etimologicamente parte.
La condotta risulta tipicamente integrata mediante l’utilizzo di tecniche mediche (fecondazione artificiale dell’ovulo della gestante con il gamete del committente o di un terzo, impianto nella gestante di un ovulo del committente o di un terzo), ma non deve escludersi che la surrogazione possa essere realizzata tramite condotte naturali laddove sussista l’impegno a consegnare il nato a un terzo che lo ha commissionato (traffico di bambini) o eventualmente allo stesso genitore biologico privandosi dei diritti che l’ordinamento di regola riconosce alle partorienti. In questi ultimi casi, il delitto di surrogazione di maternità si pone in rapporto di specialità reciproca rispetto ai delitti in materia di affidamenti illeciti dei minori (artt. 71 ss. della l. n. 184/1983), trovando la propria specificità nell’essere l’affidamento illecito a un terzo programmato fin dal concepimento fin da prima della nascita e risultando, dunque, le altre fattispecie applicabili agli affidamenti illeciti decisi dopo il parto. Il reato di surrogazione di maternità, invece, può concorre con quello di alterazione di stato, laddove la vicenda non venga esattamente dichiarata in sede di formazione di atto di nascita (art. 567, comma 2 c.p.).
La fattispecie incriminatrice non conferisce alcuna rilevanza al fatto che l’impegno della gestante a consegnare il nato al committente o a un terzo avvenga a titolo oneroso o non oneroso: il carattere commerciale o meno della surrogazione di maternità risulta, quindi, del tutto irrilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato. Il maggior disvalore connesso ai casi di impegno prestato a titolo commerciale (utero in affitto) rileverà in sede di graduazione della pena: a tal riguardo, nessuna distinzione sussiste tra i casi in cui il carattere commerciale dell’impegno abbia luogo per effetto di un rapporto sinallagmatico (corrispettivo per la gestione condotta per conto del terzo) oppure di rimborso delle spese (che, peraltro, al corrispettivo di regola si avvicina e deve ritenersi fiscalmente trattabile in modo identico).
(B) La seconda possibile condotta è rappresentata dalla realizzazione di atti volti a rendere concretamente possibile un fatto di surrogazione di maternità di cui al punto (A), ad esempio mettendo in contatto la gestante con il committente o adoperandosi per dare veste giuridica all’impegno della gestante di consegnare il nato al terzo. Anche in questo caso, il carattere commerciale o meno, occasionale o professionale, dell’organizzazione di pratiche di surrogazione di maternità risulta del tutto irrilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato, che in tutti i casi sarà consumato.
(C) La terza possibile condotta è rappresentata dalla divulgazione al pubblico di informazioni circa la possibilità di organizzare un fatto concreto di surrogazione di maternità di cui al punto (B), ad esempio segnalando al pubblico la presenza di agenzie che mettono in contatto soggetti interessati a commissionare la maternità con soggetti interessati a condurre una gestazione per conto di terzi o di agenzie che realizzano le pratiche mediche a tal fine necessarie. Anche in questo caso, nessuna differenza sussiste per il caso in cui la pubblicità avvenga a titolo gratuito od oneroso, occasionale o professionale. In questa prospettiva, la tolleranza di fenomeni di pubblicità di surrogazione di maternità, che talora vengono addirittura posti a base di fiere e convention, risulta contraria all’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale da parte della Procura della Repubblica territorialmente competente e si presta all’intervento delle Procure Generali presso le Corti d’Appello in sede di avocazione delle indagini ai sensi dell’art. 412 c.p.p..
1.3. La punibilità del delitto tentato
Secondo le regole generali del codice penale (art. 56 c.p.), il reato deve considerarsi punibile anche a titolo di tentativo, ossia laddove vengano posti in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a compiere le condotte incriminate, anche se la surrogazione non viene conclusivamente effettuata, la sua organizzazione non viene portata a termine e la pubblicità non sia divulgata.
1.4. La punibilità dei concorrenti nel reato
Tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione della surrogazione, a qualsiasi titolo, risultano punibili, in base ai generali principi di cui all’art. 81 del codice penale, a condizione che sussista l’elemento soggettivo del dolo, ossia della consapevolezza e volontà di realizzare, organizzare o pubblicizzare una surrogazione di maternità.
In particolare, nei casi della prima condotta (realizzazione della surrogazione di maternità), concorrono certamente nel reato il committente della maternità surrogata e la donna che mette a disposizione il suo corpo per condurre la gestazione con l’impegno di privarsi di tutti o alcuni diritti regolarmente spettanti alla partoriente. Al riguardo, è bene osservare che non opera la causa speciale di non punibilità di cui al comma 8 del medesimo articolo 12 della l. n. 40/2004, in forza della quale per altre fattispecie previste dalla legge stessa è esclusa la punibilità dei soggetti sui quali sono praticate le tecniche vietate dalla legge. Inoltre, potranno risultare punibili, qualora consapevoli che la propria opera si inserisca in un contesto di surrogazione di maternità: l’eventuale professionista che compia la fecondazione artificiale dell’ovulo della gestante o che impianti nella gestante l’ovulo proveniente da un terzo; il terzo destinatario del bambino, laddove diverso dal committente, quando consapevole che la surrogazione è stata commissionata nel suo interesse.
Non si riscontrano ostacoli a configurare la punibilità per concorso anche a titolo omissivo, da parte dei soggetti su cui eventualmente incomba un obbligo giuridico di garanzia che il bene giuridico protetto non venga leso. Si pensi, in particolare, ai responsabili delle cliniche ove vengano praticati atti funzionali alla surrogazione di maternità ovvero ai soggetti investiti dall’ordinamento dall’obbligo di verifica sulle pubblicità e sugli eventi promozionali che si svolgono sul loro territorio, ove necessario autorizzandoli, come in particolare i Sindaci.
1.5. Il bene giuridico protetto
Alla luce della configurazione data dall’ordinamento al delitto di surrogazione di maternità, è possibile affermare che il bene giuridico protetto è la dignità della persona umana, segnatamente la dignità della donna gestante e la dignità del bambino, che le pratiche di surrogazione di maternità ledono per le ragioni sostanziali che verranno dettagliatamente illustrate nei successivi contributi che verranno pubblicati sul tema.
In questa prospettiva, la prima condotta prevista e punita dall’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2014, ossia la realizzazione di una surrogazione di maternità, determina la compiuta lesione del bene giuridico tutelato, dando vita a un delitto cd. “di danno”.
La seconda e la terza condotta, ossia l’organizzazione e la pubblicità di pratiche di surrogazione di maternità, danno invece luogo a reati di pericolo: con esse, i beni giuridici tutelati dalla norma non sono ancora lesi, ma si creano le condizioni affinché la lesione si produca. Si tratta di una anticipazione della tutela giustificata, a livello concreto nella seconda condotta (organizzazione) e a livello di pericolo astratto nella terza (pubblicità), legittime alla luce della speciale importanza dei beni giuridici tutelati. Il diverso livello di disvalore delle diverse condotte potrà esser valutato in sede di graduazione della pena.
Alla luce della speciale importanza del bene giuridico protetto, la sanzione penale del divieto di surrogazione di maternità deve ritenersi, non soltanto compatibile con la Costituzione, ma finanche costituzionalmente doverosa. In più occasioni, del resto, la Corte Costituzionale ha affermato che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (Corte Cost., n. 79/2022; Corte Cost., n. 33/2021; Corte Cost., n. 272/2017).
2. Il requisito di territorialità e la possibile configurazione di un reato universale
In forza dei principi generali stabiliti dal codice penale italiano, il reato in questione è punibile quando le condotte incriminate sono in tutto o in parte commesse sul territorio italiano, ossia quando almeno un fatto concreto, che entra a comporre la condotta, ha avuto luogo sul territorio nazionale.
Per effetto di ciò, ad esempio, dovranno ritenersi punibili secondo la legge italiana le condotte in cui in Italia ha luogo l’accordo di conduzione della gestazione per conto di un terzo, la fecondazione della gestante surrogata, una parte della gestazione, la consegna del nato al destinatario, una parte dell’organizzazione di un fatto di surrogazione, ovvero la pubblicità della possibilità di realizzare fatti di surrogazione.
In questa prospettiva, dovrebbe ritenersi punibile secondo la legge italiana anche il soggetto che dall’Italia si è posto in contatto con una clinica al fine di realizzare una pratica di maternità surrogata. Invero, prendere contatto con la struttura sanitaria presso cui condurre un concreto intervento di surrogazione costituisce, obiettivamente, l’avvio di quella condotta di organizzazione di un evento di surrogazione autonomamente previsto e punito dalla seconda fattispecie dell’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004. Né dovrebbe ritenersi ostare a tale conclusione la soluzione fornita da Cass. pen., sez. III, n. 5198/2021, poiché emerge dagli atti che, in tal caso, l’imputazione era stata formulata unicamente in relazione alla “realizzazione” della surrogazione, in base alla prima fattispecie, e non anche alla “organizzazione”, in base alla seconda, o comunque in base al tentativo, così risultando precluso alla Cassazione di pronunciarsi funditus sul problema per ragioni di carattere processuale.
Se tali risultano le conseguenze del principio generale previsto dall’articolo 3, comma 1 e dall’articolo 6 del codice penale, nondimeno il codice penale stabilisce numerose ipotesi in cui, a motivo del particolare disvalore del fatto, esso viene punito anche quando il fatto incriminato viene integralmente compiuto al di fuori del territorio nazionale, ma possa comunque dirsi avere un legame giuridicamente apprezzabile con lo stesso. Si parla tradizionalmente, in tal caso, di “reati universali”, secondo i principi dell’articolo 3, comma 2 e degli articoli 7 e seguenti del codice penale.
In questa prospettiva si muove, in particolare, la proposta di legge A.C. 887, presentata da parte dell’On. Maria Carolina Varchi, secondo cui le pene stabilite dall’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004 “si applicano anche se il fatto è commesso all’estero”.
Il collegamento con il territorio dello Stato, in particolare, può essere individuato nell’avere il fatto commesso all’estero coinvolto cittadini italiani.
3. Le conseguenze sull’ordine pubblico internazionale italiano
I valori previsti dalla costituzione delineano il cosiddetto “ordine pubblico internazionale” di un Paese, ossia le caratteristiche che lo identificano nei rapporti con gli altri ordinamenti e che non possono essere negati neppure nei rapporti aventi rilevanza transnazionale.
Tra questi valori, rientra anzi e anzitutto quello di protezione della dignità della persona umana, in base al disposto dell’articolo 2 della Costituzione. Le modalità con cui il valore della dignità della vita umana viene protetto, venendo a configurare in concreto l’ordine pubblico internazionale dello Stato, hanno alla base le norme con cui il legislatore attua il valore stesso e, tra queste, particolare valore assumono quelle in materia di diritto penale.
Come affermato dalla giurisprudenza, l’ordine pubblico internazionale è rappresentato dai “principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico” (Cass. civ., SS.UU., n. 12193/2019).
Per questa ragione, il divieto di surrogazione di maternità ai sensi dell’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004 rientra nell’ordine pubblico internazionale dell’Italia. Tale conclusione costituisce diritto vivente consolidato, essendo stata affermata per ben due volte consecutivamente dal supremo organo giudiziario dello Stato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., SS.UU., n. 12193/2019; Cass. civ., SS.UU., n. 38162/2022). In particolare, le Sezioni Unite hanno avuto modo di ribadire che l’eventuale carattere non commerciale della surrogazione non determina il venir meno della sua contrarietà all’ordine pubblico: “non è consentito all’interprete ritagliare dalla fattispecie normativa, per escluderle dal raggio di operatività dell’ordine pubblico internazionale, forme di surrogazione che, sebbene in Italia vietate, non sarebbero in grado di vulnerare, per le modalità della condotta o per gli scopi perseguiti, il nucleo essenziale del bene giuridico protetto … Non è pertanto consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana e, con essa, il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino” (così, da ultimo, Cass. civ, SS.UU., n. 38162/2022).
Tra le varie conseguenze che la ricomprensione di una regola nell’ambito dell’ordine pubblico internazionale dell’Italia produce, vi è anche quella per cui i provvedimenti provenienti dalle autorità di Stati stranieri (sentenze, certificati, ecc.) che si pongono in contrasto con tale regola, non possono essere riconosciuti come produttivi di effetti nello Stato italiano. Si tratta di un principio generale stabilito dagli articoli 64 e successivi della legge generale sul diritto internazionale privato n. 218/1995.
Per effetto di ciò, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno costantemente negato la possibilità di riconoscere in Italia sentenze o certificati stranieri che individuavano due padri come genitori di un bambino, da essi commissionato in maternità surrogata in un Paese in cui la surrogazione di maternità viene legalmente riconosciuta.
La stessa conclusione deve trarsi in tutte le ipotesi in cui si riscontri un fenomeno di surrogazione di maternità alla base dell’assegnazione di un figlio a un soggetto, secondo quanto indicato nella precedente lett. (A) del par 1.2.
Al mancato riconoscimento delle decisioni straniere che assegnino la potestà genitoriale a soggetti coinvolti in vicende di surrogazione di maternità, consegue l’applicazione degli istituti previsti dal diritto interno (dall’adozione in casi speciali in particolari alla dichiarazione dello stato di adottabilità). L’ottenimento di un bambino sulla base di prassi che l’ordinamento ritiene lesive della dignità della persona umana dovrà costituire elemento di valutazione in merito all’idoneità di un soggetto ad assumere la potestà genitoriale nell’eventuale ambito di procedimenti di adozione in casi speciale ovvero all’idoneità di un soggetto a mantenere la potestà genitoriale quando si tratti di genitore biologico nell’ambito di una vicenda di surrogazione di maternità. Invero, il dispregio per la dignità della persona umana che, secondo l’ordinamento, denota il crimine di surrogazione di maternità, dispregio che la Corte Costituzionale costantemente definisce “intollerabile” (Corte Cost., n. 79/2022; Corte Cost., n. 33/2021; Corte Cost., n. 272/2017), rientra per natura tra gli elementi da considerare al fine di valutare l’idoneità di un soggetto, che tale valore di dignità si è mostrato pronto a ledere ricorrendo alla pratica criminosa, a garantire l’equilibrata crescita di un minore, che appunto nella tutela e protezione della dignità umana deve avere il proprio fondamento e il proprio fine educativo. Del pari, dovrà costituire elemento di valutazione a tal fine la circostanza che i soggetti abbiano manifestato preferenze per l’etnia o altre caratteristiche personali del nato (colore dei capelli, colore della pelle, colore degli occhi, o altro) (Cass. civ., SS.UU., n. 13332/2010).
4. La compatibilità del sistema italiano con il diritto internazionale e, in particolare, con la CEDU e l’estraneità del tema alle attribuzioni dell’Unione Europea.
La circostanza che l’ordinamento italiano non riconosca le decisioni giudiziarie o amministrative di Stati stranieri è compatibile con il diritto internazionale, posto che nessun trattato internazionale sottoscritto dall’Italia, né tanto meno il diritto internazionale consuetudinario, richiedono di considerare legale la surrogazione di maternità e di riconoscere le conseguenze giuridiche che essa mira a produrre nell’ordinamento.
Il riconoscimento degli effetti della surrogazione di maternità non è richiesto neppure dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, infatti, ha escluso che dall’art. 8 CEDU si possa inferire un diritto al riconoscimento dei rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla surrogazione di maternità, e ha dato atto di un ampio margine di apprezzamento spettante agli Stati membri in merito alla possibilità di riconoscere o meno tali rapporti di filiazione, ferma restando la necessità di garantire la migliore tutela dell’interesse del minore (Corte EDU, sentenza 7 aprile 2022, L. contro Francia; sentenza 18 agosto 2021, Valdìs Fjölnisdóttir e altri contro Islanda, paragrafi 66-70 e 75; sentenza 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafi 197-199; sentenza Mennesson, paragrafo 74; sentenza Labassee, paragrafo 58).
Sotto altro profilo, nessuno dei Trattati istitutivi dell’Unione Europea conferisce all’Unione Europea le competenze per regolare o sindacare le decisioni degli Stati in materia di status giuridico delle persone, di tutela penale della dignità della persona umana e di ordine pubblico internazionale.
In conseguenza di ciò, per effetto del principio di attribuzione, che individua in modo tassativo le competenze assegnate dagli Stati europei all’Unione, devono considerarsi alla stregua di indebite ingerenze nella sovranità nazionale, le prese di posizioni sovente esternate da organi dell’Unione a sostegno del riconoscimento degli effetti di pratiche di surrogazione di maternità.
Pertanto, tali prese di posizione devono considerarsi prive di effetti giuridici vincolanti, non soltanto per la forma che di regola assumono (risoluzioni del Parlamento Europeo o altre forme di soft law), ma anche e più radicalmente perché prive di base giuridica, assumendo la natura di atti cd. ultra vires.
In questa prospettiva, del tutto inevitabile e necessitata deve considerarsi la determinazione negativa da parte del Parlamento italiano in ordine alla proposta di regolamento 7 dicembre 2022 COM 2022 695, la quale – nell’ambito della strategia per l’uguaglianza LGBTQI – mirava a introdurre un meccanismo automatico di riconoscimento e trascrizione delle attestazioni di Stato provenienti da altri Paesi dell’Unione riducendo sensibilmente e, nel caso del certificato elettronico di filiazione, eliminando il vaglio di ordine pubblico richiesto dal diritto interno, così richiedendo di recepire automaticamente anche le attestazioni di rapporti derivati da surrogazione di maternità che siano state riconosciute da altri Stati membri.
Con l’opposizione da parte dello Stato italiano, la proposta di regolamento non potrà essere adottata dall’Unione, essendo a tal fine richiesto il voto unanime degli Stati.
[1] Professore Associato di Diritto Tributario, Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova, Avvocato.