Riflessioni sull’eutanasia – di Franco Vitale

1) Considerazioni generali

L’uomo è il soggetto di diritto che si pone al centro dell’ordinamento giuridico e, per l’innata vocazione alla socialità ed alla Polis, costituisce la comunità e ne plasma le regole.

La vita dell’uomo è, quindi, il valore cui spetta in assoluto la tutela dell’ordine giuridico; ed è indisponibile.

In contrasto si sostiene che l’intangibilità della vita umana non comporta una protezione ad oltranza contro atti compiuti su richiesta dell’interessato, e si chiede la legalizzazione dell’eutanasia.

Si parla di eutanasia, che significa “morte dolce” o “buona morte”, con riferimento “agli interventi intenzionalmente programmati per interrompere in maniera diretta e primaria una vita quando si trovi in condizioni di sofferenza o di inguaribilità o di prossimità alla morte[1], e l’interessato ne faccia domanda.

2) Aiuto al suicidio ed eutanasia

Da più parti si insiste perché sia considerato non punibile l’aiuto al suicidio, previsto come reato dell’art. 580 codice penale, quando la persona intenda togliersi la vita sia in grave sofferenza, specie per forti dolori[2].

In merito deve osservarsi che la depenalizzazione del suicidio assistito si pone come primo passo per ammettere l’eutanasia.

È di evidenza che, sia nel suicidio assistito che nell’eutanasia, l’evento del tutto negativo, e da scongiurare, è dato dalla perdita di una vita umana, peraltro consentita dalla legge. Ritenuto lecito l’aiuto al suicidio, la scelta di introdurre l’eutanasia appare un consequenziale passo successivo.

La non punibilità del suicidio assistito si porrà al legislatore come determinante elemento di convincimento per ammettere l’eutanasia.

Legalizzata l’eutanasia per i soggetti prossimi alla morte, si può temere l’estensione dell’intervento eutanasico ai malati non terminali, per i quali, però, si escluda la guarigione; ed ancora ai malati in stato vegetativo, ove la richiesta di eutanasia venga avanzata da familiari, o da terzi, comunque legittimati; e così via: si pensi alla eutanasia per i bambini!

3) Osservazioni contro l’eutanasia

Per l’introduzione della eutanasia si fa leva sulla “sofferenza del vivere”; ed anche si tende a dare forte rilevanza all’autodeterminazione del singolo che intende rinunziare alla vita, sottraendosi definitivamente alla comunità.

In contrario avviso, è di stretto rigore osservare:

3.1) Quando, per la vocazione alla polis, da un gruppo di persone si costituisce un primo, anche rudimentale, nucleo di convivenza e quando su questo interviene un primordiale ordinamento giuridico, la prima tutela è rivolta alla esistenza ed allo sviluppo di detta comunità; il che si attua esclusivamente con la presenza in vita dei consociati.

È la vita dei partecipanti che dà luogo alla comunità, e poi nel prosieguo della vicenda storica allo Stato, non certamente la morte che riduce al nulla dette realtà.

Ogni decisione, ogni intervento di morte è la negazione della società.

3.2) Lo Stato ha il precipuo ed incondizionato interesse a non perdere alcuno dei concittadini. Né vale porsi la domanda quale interesse può avere lo Stato al prolungamento di una vita che sta per terminare: a) per malattia; b) per autodecisione.

Il fatto incontestabile è che tale vita non è ancora cessata.

Si consideri sul punto:

a) per il progresso delle scienze, specie di quella medica, possono verificarsi eventi che mutano la situazione del malato, come da un verso un nuovo farmaco, e d’altro lato la fattibilità di un trapianto. Ed ancora si pensi che non è insolito il risveglio dopo anni della persona che vive in stato vegetativo. Inoltre si ricorda che per la sofferenza causata da dolore, anche forte, sussistono le cure palliative[3].

b) il rapporto Stato – cittadino rispetto al diritto alla vita va visto nell’ottica del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Costituzione Italiana, alla quale, senza alcuna eccezione, deve attenersi la legislazione ordinaria.

Gli artt. 2 e 3 Cost. fissano i principi di personalità e di uguaglianza che per l’uomo stabiliscono l’indisponibilità del suo essere soggetto unico che ha dato luogo all’ordinamento giuridico e che è capace nel contesto del suo sviluppo di attuare i rapporti giuridici di convivenza; sviluppo continuo dal primo manifestarsi della persona nell’embrione, sino alla cessazione per morte naturale.

L’uomo è il soggetto per eccellenza nell’ordine giuridico.

Il suo essere ed il suo agire necessitano del principio, fondamentale ed incontestabile, del vivere, che non può essere negato.

Il contrasto con il vivere dell’uomo, cioè la negazione della indisponibilità del diritto alla vita, determina la cessazione della esistenza di ogni forma di comunità.

Come lo Stato non può disconoscere la sua stessa esistenza, così la vita dell’uomo, che ha determinato lo Stato, non può essere toccata, disattesa, negata, nemmeno dallo stesso soggetto cui appartiene.

Il tema in discussione è esistenziale.

L’uomo, come lo Stato e la comunità civile, per il fatto stesso che sussistono, non ammettono un diritto contrario alla loro esistenza.

Il principio di ragione è chiaro: l’essere respinge il suo contrario.

L’uomo, per ciò stesso che viene alla vita, non patisce, secondo i principi che informano il nostro ordinamento costituzionale, il suo annientarsi. Certamente può perdere la vita ad opera di un altro soggetto, ma questo fatto è omicidio e viene penalmente punito.

4) In conclusione

L’eutanasia, ove venga introdotta, rimane pur sempre la soppressione di un essere umano, né può trovare giustificazione dal fatto che venga richiesta dalla persona interessata. Sul punto si consideri:

A) da un canto, diversamente dal suicidio, nella eutanasia la decisione finale sulla morte è rimessa al terzo[4] e non l’interessato, e non può ammettersi che si trasferisca ad altri la disponibilità della vita umana;

B) d’altro lato si rileva che l’autodecisione di cessare di vivere si pone in contrasto con l’art. 2, seconda parte, della Costituzione Italiana, che prevede i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

La prima e fondamentale manifestazione della solidarietà è proprio il vivere insieme, il partecipare, anche con la sola presenza, alla comunità.

Nella relazione tra Stato e cittadino, a sensi delle norme costituzionali citate, si riscontra che i diritti inviolabili dell’uomo, fondati sul diritto alla vita, sono riconosciuti e garantiti a favore della persona non solo come soggetto singolo, ma anche come facente parte della comunità, che ai fini del bene comune ricorre di necessità all’operare dei consociati.

La decisione di porre fine alla propria esistenza significa sottrarsi all’adempimento dei suddetti doveri di solidarietà, che per il precetto costituzionale assumono carattere di inderogabilità.

Pertanto, l’autodeterminazione del soggetto interessato a cessare di vivere non può essere accolta dall’ordine giuridico che tutela il singolo e nel contempo la comunità.

Il diritto alla vita della persona nella sua proiezione a vantaggio, (rectius) a sostegno della comunità, prevale sulla pretesa di darsi la morte che rimane un disvalore sociale, sanzionato penalmente, sia nel suicidio assistito che nella eutanasia,

Franco Vitale

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[1] Cfr. Persico, Eutanasia e accanimento terapeutico, in Aggiornamenti Sociali, 1985, 1, 4.

[2] Devesi riferire che di recente in Olanda si è ripreso il dibattito sul suicidio assistito “per vita completata”. Si ha riguardo alla persona anziana, con oltre 75 anni, che, pur non essendo affetta da malattia, considera l’ulteriore tratto di vita un male non sopportabile. Cfr. in merito Assuntina Morresi, in Avvenire del 17 agosto 2019, pag. 3. “Morte per vita completata – in Olanda un nuovo diritto?”.

[3] Le cure palliative – terapia del dolore – sono date per alleviare e superare il dolore. Si richiama la Legge n. 38 del 15 marzo 2010, con le disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative.

[4] Cfr. Stella, Il problema giuridico dell’eutanasia, in Il valore della vita, Milano, 1983, pag. 298 e segg.

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