Dall’amarezza alla resilienza di Pino Morandini
Dall’amarezza alla resilienza: la legge toscana sul suicidio assistito è “fuori competenza” e rappresenta una forzatura umana.
di Pino Morandini
Il voto regionale toscano che ha legalizzato il suicidio assistito, prima ancora che una fendente giuridico maldestro – infatti, oltreché essere fuori competenza, come ha certificato l’Avvocatura Generale dello Stato, configura un capovolgimento del senso del diritto e della sua funzione antropologica – rappresenta una forzatura umana, entrando a gamba tesa nella sofferenza del paziente e nel suo rapporto con i propri cari, alterando l’alleanza terapeutica tra lui e il medico, privilegiando l’eliminazione del paziente anziché quella del dolore.
L’amarezza che ne deriva è ulteriormente acuita dall’assistere allo svilimento del compito fondamentale delle Istituzioni anche regionali, quello di promuovere e aver cura della vita dei cittadini, e del Servizio sanitario, la cui primaria finalità consiste nel prendersi cura della vita e della salute di ciascuno.
Non posso non pensare all’analoga delusione vissuta in occasione dell’approvazione della legge sull’aborto (1978) e del successivo referendum (1981) che ne confermò la vigenza.
Tanto più che trattavasi di provvedimenti a carattere nazionale.
Quando pochi giorni dopo ci riunimmo a Roma come “popolo della vita”, fu splendido constatare come, accanto all’inevitabile amarezza, si facesse sempre più strada la volontà gioiosa di ricostruire, proponendo un’alternativa umana alla pratica abortiva (i CAV) e l’elaborazione di una cultura per la vita che potesse conquistare i cuori e le coscienze (i MpV).
I 280 mila bambini aiutati a nascere in questi 48 anni parlano da soli.
È quella che Francesco D’Agostino definì “resilienza” e che ci è chiesta pure oggi. In un contesto più difficile, per il diffondersi della cultura “dello scarto”, ma anche più ricco, atteso il lavoro educativo – culturale e di condivisione delle tante realtà pro life e pro family nate negli anni e dei tanti amici che non da ieri si prodigano ai più svariati livelli. Mi permetto alcune proposte.
Come comunità cristiana ma non solo, incentivare il più possibile la vicinanza premurosa alle persone sole in fin di vita o con gravi disabilità. Grazie a quella vicinanza è assai improbabile che il paziente chieda di farla finita, come confermato perfino dall’oncologo Veronesi.
Sollecitare ulteriormente le Regioni ad adempiere al loro obbligo, di cui al bilancio dello Stato 2023, di “presentare progetti annuali di razionalizzazione delle terapie per il dolore, per arrivare al 90% del fabbisogno entro il 2028”. Le successive leggi di bilancio 2024 e 2025 hanno ulteriormente finanziato le cure palliative.
Chiedere al Parlamento la sollecita approvazione del disegno di legge a sostegno di chi si dedica alla cura di quei pazienti (i c.d. caregivers).
Proporre ai Consiglieri regionali che in Toscana hanno votato contro la scellerata legge, la presentazione di un ddl o di una mozione che rinforzi anche finanziariamente le cure palliative. Analogamente per i Consiglieri delle altre Regioni.
Continuare incessantemente nel lavoro culturale per la vita fragile – da tempo portato avanti magnificamente da varie realtà – al fine di far fronte al probabile “effetto domino” che la legge toscana causerà, indicendo altre Regioni a seguire quella strada.
Ma la cosa di gran lunga più urgente è, a mio avviso, una Pastorale organica per la vita.
Va riconosciuto come il Magistero della Chiesa abbia assicurato negli anni la linea a sostegno della vita, vincendo anche resistenze interne (penso al dissenso verso l’Humanae vitae, 1968).
Al contempo, però, sembra di assistere qua e là al riemergere della “Sindrome del Vietnam” (così la denominò qualcuno), cioè dell’atteggiamento rinunciatario per evitare lo scontro, a seguito delle sconfitte su divorzio e aborto.
È vero che la complessità delle questioni inerenti la vita umana e la non sufficiente conoscenza delle stesse hanno giocato un ruolo decisivo nel suddetto atteggiamento. Per converso si è assistito a una vivacità culturale e operativa dei movimenti pro life, capaci di intervenire nel confronto politico e pubblico, di curare un positivo rapporto con le Conferenze episcopali e al contempo di evidenziare il carattere laico del valore della vita, a partire da quella nascente e terminale.
Però il servizio pastorale non è sostituibile dalle aggregazioni laicali, come già ammoniva il card. Sgreccia. Il quale, mentre lodava le prese di posizione del Magistero, avvertiva, specie dopo la pubblicazione dell’Evangelium vitae, l’urgenza di una pastorale organica della vita all’interno della dimensione ecclesiale.
D’altronde, dobbiamo prendere atto che sui temi specifici della vita appare insufficiente tra i fedeli la conoscenza del giudizio etico con le sue motivazioni né essa è sentita come riferimento per i comportamenti conseguenti.
Come si spiegherebbero altrimenti la frequenza delle separazioni e dei divorzi, la fragilità dei matrimoni, la pratica dell’aborto anche tra coppie che si dicono cristiane, l’insinuarsi di ragionamenti eutanasici pure in molti cattolici?
La messe è molta ma, per dirla con Francesco, non ci lasceremo rubare la Speranza!
La mobilitazione delle coscienze e la fecondità delle opere originatesi come risposta all’aborto legalizzato, ci sprona a non rassegnarci mai.