Il MpV a Lourdes
Il MpV a Lourdes partecipa al convegno “Giornata Mondialedel Malato – 1993-2023 – Promuovere la Salute- Edificare la Pace”, organizzatodal Forum delle Associazioni socio-sanitarie, portando con chiarezza il suo messaggio: alla sorgente della pace c’è il concepito uno di noi.
In questi giorni una delegazione del MPV, guidata dalla Presidente Marina Casini, è a Lourdes in pellegrinaggio e per partecipare il 27 giugno al convegno del Forum delle Associazioni socio-sanitarie “Giornata Mondiale del Malato – 1993-2023 – Promuovere la Salute- Edificare la Pace”.
Al convegno, presso la sala Hemicycle del Santuario di Lourdes, partecipano vari esponenti del Forum (Aldo Bova, Alessandro de Franciscis, Marina Casini, Don Isidoro Mercuri Giovinazzo, Filippo Boscia, Antonio Falcone, Roberto Maurizio) alla presenza di S.E. Mons. Jean-Marc Micas, Vescovo di Tarbes e Lourdes.
“La cura ha il nome della pace” ha esordito il prof. Alessandro de Franciscis, moderatore del convegno insieme ad Aldo Bova, presidente del Forum sociosanitario.
“Qual è la sorgente della pace?” Ha rilanciato Marina Casini, iniziando il suo intervento. Alla sorgente della pace c’è il concepito uno di noi. Questa la risposta.
Riportiamo qui di seguito l’intero intervento di Marina Casini.
Alla sorgente della pace: il concepito uno di noi
La pace aspirazione universale
L’umanità è sempre stata scossa da violenze, guerre, imbarbarimenti, sopraffazioni, aggressioni, e la pace è sempre stata una meta, un obiettivo, un’aspirazione, una speranza. Mentre noi siamo qui, c’è chi è in lotta, chi fugge dalla guerra e dalla fame, chi muore sotto le bombe, chi piange i propri morti uccisi dalla ferocia della guerra. In alcuni periodi, come il nostro, la pace è stata il tema all’ordine del giorno. Quanti appelli per la pace! Quante marce per la pace! Quanti convegni e articoli sulla pace!
Cultura della pace e retorica della pace
Ma “che cosa vuol dire oggi essere per la pace?” Come si realizza la pace? Quali sono i presupposti e le condizioni per realizzarla? Basta gridare “pace, pace” per realizzarla? Le domande sono importanti per poter chiarire la differenza tra la “cultura della pace” e la “retorica della pace”, una distinzione cara a Paolo VI, nel corso del cui pontificato la guerra imperava in Vietnam e in Congo; e la “guerra fredda” teneva ancora diviso il mondo in due blocchi. Il rischio è di essere “retorici della pace” e non “operatori di pace”.
Se vuoi la pace difendi la vita
Paolo VI indisse la giornata mondiale della pace e il tema del 1977 (in pieno dibattito sulla legalizzazione dell’aborto) fu “Se vuoi la pace difendi la vita”: è il valore dell’uomo, la sacralità della sua vita la ragione profonda e vera che fa avvertire come estremamente contraddittoria l’organizzazione della morte che chiamiamo guerra. Ecco alcuni passaggi del suo messaggio: «Non è un sogno la Pace, non è un’utopia, non è un’illusione […] È davvero possibile? Sì, lo è; lo deve essere. Ma siamo sinceri: la Pace, ripetiamo, è doverosa, è possibile, ma non senza il concorso di molte e non facili condizioni. Il discorso sulle condizioni della Pace, noi ce ne rendiamo conto, è molto difficile e molto lungo. […] Ma non bisogna tacerne un aspetto, che è senza dubbio primordiale. Ci basta ora richiamarlo e raccomandarlo alla riflessione degli uomini buoni e intelligenti. Ed è questo: il rapporto della Pace con la concezione che il mondo ha della Vita umana. Pace e Vita: sono beni supremi nell’ordine civile; e sono beni correlativi. Vogliamo la Pace? difendiamo la Vita! […] se Pace e Vita possono illogicamente, ma praticamente dissociarsi, si delinea sull’orizzonte del futuro una catastrofe che, ai nostri giorni, potrebbe essere senza misura e senza rimedio sia per la Pace, che per la Vita. […]. La Pace, se per deprecabile ipotesi, fosse concepita avulsa dal connaturato rispetto con la Vita, potrebbe imporsi come un triste trionfo della morte […] bisogna senz’altro riconoscere il primato alla Vita, come valore e come condizione della Pace. Ecco la formula: se vuoi la Pace, difendi la Vita. La Vita è il vertice della Pace. Se la logica del nostro operare parte dalla sacralità della Vita, la guerra, […] è virtualmente squalificata. La Pace altro non è che il sopravvento incontestabile del diritto e alla fine la felice celebrazione della Vita. […] Ma non è solo la guerra che uccide la Pace. Ogni delitto contro la Vita è un attentato contro la Pace, specialmente se esso intacca il costume del Popolo, come spesso diventa oggi con orrenda e talora legale facilità la soppressione della Vita nascente, con l’aborto. Si usano invocare a favore dell’aborto motivazioni come le seguenti: l’aborto mira a frenare l’aumento molesto della popolazione, a eliminare esseri condannati alla malformazione, al disonore sociale, alla miseria proletaria; eccetera; sembra piuttosto giovare che nuocere alla Pace. Ma così non è. La soppressione d’una Vita nascitura, o già venuta alla luce viola innanzitutto il principio morale sacrosanto, a cui sempre la concezione dell’umana esistenza deve riferirsi: la Vita umana è sacra fin dal primo momento del suo concepimento e fino all’ultimo istante della sua sopravvivenza naturale nel tempo. È sacra: che vuol dire? vuol dire che essa è sottratta a qualsiasi arbitrario potere soppressivo; è intangibile, è degna d’ogni rispetto, d’ogni cura, d’ogni doveroso sacrificio. Per chi crede in Dio è spontaneo ed istintivo, è doveroso per legge religiosa trascendente; ed anche per chi non ha questa fortuna di ammettere la mano di Dio protettrice e vindice d’ogni essere umano, è e dev’essere in virtù dell’umana dignità intuitivo questo stesso senso del sacro, cioè dell’intangibile, dell’inviolabile proprio d’un’esistenza umana vivente. Lo sanno, lo sentono quelli che hanno avuto la sventura, la implacabile colpa, il sempre rinascente rimorso d’aver volontariamente soppresso una Vita; […] Vita singola e Pace generale sono sempre collegati da un’inscindibile parentela. Se vogliamo che l’ordine sociale progrediente si regga sopra i principii intangibili, non offendiamolo nel cuore del suo essenziale sistema: il rispetto alla vita umana. Anche sotto questo aspetto Pace e Vita sono solidali alla base dell’ordine e della civiltà. […] Uomini, Uomini della maturità del secolo ventesimo, voi avete segnato le Carte gloriose della vostra raggiunta pienezza umana, se tali carte sono vere; avete sigillato per la storia la vostra condanna morale, se esse sono documenti di velleità retoriche o di ipocrisia giuridica. Il metro è là: nella equazione fra la vera Pace e la dignità della Vita».
Mi pare che questo brano dica moltissimo. Madre Teresa, due anni dopo, come è noto, ricevendo il premio Nobel per la pace disse: «se accettiamo che una madre possa sopprimere il frutto del suo seno, che cosa ci resta? L’aborto è il principio che mette in pericolo la pace nel mondo». Analogamente Giovanni Paolo II: «nessun movimento per la pace è degno di questo nome se non condanna e non si oppone con la stessa forza alla battaglia contro la vita nascente». Uno dei temi delle Giornate per la vita è stato: “Quale pace se non salviamo ogni vita?”. Papa Francesco nella Messa della veglia di Pasqua del 2020: «Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre! Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno. Cessino gli aborti, che uccidono la vita innocente». Una “guerra dei potenti contro i deboli” l’aveva definita San Giovanni Paolo II.
Aborto, distruzione di esseri umani generati in provetta e guerra
Che cosa c’entra l’aborto – che si consuma nel silenzio e che rende come mai esistito un essere umano – con il fragore delle armi belliche, con la paura di intere popolazioni, con immagini di fughe ed esplosioni, con un dolore manifesto, con azioni politiche internazionali? Cosa c’entra la fecondazione in vitro con l’organizzazione della morte? Eppure la legittimazione degli Stati, la collaborazione degli operatori sanitari e la diffusa mentalità che rende socialmente rispettabile l’aborto così come la distruzione degli esseri umani allo stadio embrionale non cancella la natura di guerra, se la guerra è caratterizzata da una forza che, impadronendosi dei cuori e delle menti, si organizza per uccidere e per uccidere ha bisogno di mentire negando il valore dell’altro, diminuendone l’umanità. L’altro deve scomparire non solo fisicamente, ma anche nella mente di chi lo sopprime o si fa promotore dell’uccisione. Può considerarsi in pace una nazione che in 40 anni ha impedito la nascita di 6 milioni di bambini in viaggio verso la nascita e che ha lasciato nel dolore tante donne? E quanti esser umani generati in provetta vengono distrutti? I “fucili” sono i ferri chirurgici, i prodotti chimici come i “pesticidi” che distruggono i figli nel grembo della mamma. Si stringe il cuore anche al pensiero dell’impegno finanziario, intellettuale, organizzativo, prolungato nel tempo, diretto a inventare pasticche che uccidono semplicemente bevendo un bicchiere d’acqua. Ma “fucile” è prima di tutto la cultura che rifiuta lo sguardo sul figlio concepito e non vuole riconoscerlo come uno di noi. Il pane è lo sguardo d’amore sul figlio e sulla madre, la condivisione e il sostegno che ne derivano, come fanno i tanti Centri di aiuto alla vita; il pane è la medicina della procreazione naturale e l’accompagnamento verso una fecondità che si apre all’adozione. Ma pane è anche la misericordia per le donne che, vittime di pressioni e condizionamenti, hanno preso un’altra strada.
Nel riconoscimento del valore dell’altro la vera libertà e la vera pace
Si comprende quindi la differenza tra cultura della pace e retorica della pace. Non si tratta solo di far cessare il fragore delle armi, di smettere di buttare le bombe, di non distruggersi a vicenda. Si tratta di molto di più, perché anche se venissero distrutti tutti i missili e le testate nucleari della terra la pace non sarebbe garantita perché l’intelligenza umana saprebbe comunque come fare a ricostruirli magari più potenti. La sicurezza che l’uomo non si autodistrugga ormai non c’è più. Nessuna struttura, nessun patto, nessun equilibrio può garantirlo. Allora è chiaro, assolutamente chiaro, che la decisione ultima, concernente la stessa vita sul globo, risiede nel cuore dell’uomo, nella libertà umana. E la libertà e la pace hanno la stessa radice, lo stesso fondamento: si legge nel preambolo della DUDU: “Il riconoscimento della dignità inerente di ogni membro appartenente alla famiglia umana costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Parole importanti che dovrebbero essere meditate una a una. Esse vanno messe in relazione alla tragica esperienza morale che, nella metà del XX secolo, ha profondamente scosso l’umanità: ideologie totalitarie avevano perpetrato crimini efferati nei confronti di esseri umani sulla base di teorie che, in un clima di menzogna, discriminavano tra “vite degne” e “vite non degne” di essere vissute. Questa dolorosa esperienza di morte e discriminazione ha segnato un momento di profondo sconvolgimento del diritto e della medicina, dovuto a una profonda crisi antropologica (come non ricordare il libro “L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute” scritto dallo psichiatra Alfred Hoche e dal giurista Karl Binding): “un uomo che non è altro che un uomo sembra aver perso le qualità che spingevano gli altri a trattarlo come un proprio simile” (H. Arendt). Le parole del preambolo sono dunque il riscatto, la svolta. Nelle carte sui diritti umani non sia definita la dignità umana, né si specifichi in che cosa consista. La dignità umana sta ad indicare il valore finalistico e non strumentale dell’uomo, racchiude l’idea di un vertice valoriale, di un valore supremo, di una trascendenza, tale da rendere l’essere umano intangibile e indisponibile. Inoltre, la dignità umana è “riconosciuta” e non “attribuita”. Ciò significa che di essa si “prende atto”, perché è esistente in sé, non dipende dalla volontà o dalla concessione di singoli o gruppi. In terzo luogo l’inerenza che qualifica la dignità significa che essa è riconosciuta come intima essenza, distintivo specifico dell’esistenza umana, non è una qualità che si aggiunge ad altre caratteristiche umane, non è fattore accidentale ed eventuale dipendente dalla presenza sperimentabile di alcune caratteristiche o funzioni. Il semplice fatto dell’esistenza implica la presenza della dignità; l’appartenenza alla famiglia umana è, dunque, il “titolo” della dignità. Di conseguenza, il “riconoscimento” della dignità umana è frutto dello sguardo propriamente umano della mente, sguardo che sa cogliere l’essenza – il valore dell’altro – al di là delle apparenze. Infine – ma il punto è fondamentale – la dignità umana è collegata all’uguaglianza tra tutti gli esseri umani: essa è presente in tutti e in ciascuno nella stessa identica misura; è sempre presente con la stessa intensità e la stessa forza in tutti gli esseri umani e in ogni essere umano, senza distinzioni di valore ontologico. Una concezione “gradualistica” della dignità umana, infatti, implicherebbe una inaccettabile discriminazione tra vite umane che hanno valore e vite umane che non ne hanno. In questo “mistero” della “uguale dignità” sta il primato dell’essere sull’avere, della vita sulla qualità della vita, dei soggetti sugli oggetti. Soprattutto il riconoscimento della dignità di ogni essere umano è il fondamento della pace. Ciò significa che non basta gridare “pace, pace” per essere costruttori di pace. Il fondamento della pace non è la paura o la cessazione del fragore delle armi. Costruisce la pace chi è disposto a donare la sua vita per salvare la vita dell’altro – anche di colui che può sembrare socialmente senza valore come il bambino non nato (sentenza tedesca) – non chi è pronto a qualsiasi cosa pur di salvare la propria.
Diritto a nascere: questione sociale che illumina tutto
L’accostamento tra l’aborto, la distruzione degli embrioni umani e la guerra mostra un parallelismo stringente perché in tutti i casi viene un momento in cui l’unica reale difesa dell’uomo è il riconoscimento della sua dignità e non altro. Le questioni si assomigliano come il microcosmo al macrocosmo. Dunque la questione della vita nascente non è affatto marginale ed è questione sociale di primaria importanza: nella questione della vita nascente è infatti iscritta la questione di tutta la vita; se la guerra è posta al principio dell’esistenza umana, tutta l’esistenza è minacciata dalla guerra. Ecco perché la Santa di Calcutta diceva che “l’aborto è il più grande distruttore della pace”. Se, viceversa, sin dall’inizio nel concepimento di ogni essere umano, trionfa – anche attraverso l’organizzazione della società e delle sue leggi – la logica dell’accoglienza e della solidarietà, ecco che viene illuminata tutta la vita e si rinforzano le istanze della solidarietà e dell’accoglienza su tutti i fronti. Insomma, “Vita” e “Pace” non sono valori contrapposti. Anzi sono due facce della stessa medaglia. Di più: sono lo stesso volto.
Operatori di pace
Chi difende la vita aiutando un bambino a vivere, sostenendo la sua mamma durante la gravidanza, ma anche chi sin apre generosamente ad ogni uomo che non conta, malato, anziano, sbandato ecc., costui difende davvero la pace nel mondo.
Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale per la pace (1 gennaio 2013) ha scritto: «Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.
Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita. Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia».
Ovviamente è chiaro che tutto questo discorso ha delle ricadute importantissime sul tema della salute, della cura e del prendersi cura in modo che nessuno sia lasciato indietro. Il nuovo umanesimo e un modo umano di intendere la medicina parte da qui e nel riconoscimento dell’uguale valore di ogni vita umana la medicina trova alimento, motivazione e incontra il suo vero significato.