La tutela della maternità e il dovere primario delle istituzioni

La tutela della maternità è “il cuore del bene comune”, ma purtroppo è negletta dalle istituzioni, come spiega Pino Morandini, vice presidente del MpV Italiano, proponendo una serie di soluzioni costruttive e possibili.

di Pino Morandini

La cultura dominante è solita pensare, specie con riferimento alle funzioni delle Istituzioni locali e regionali (Comuni, Regioni, Province Autonome di Trento e di Bolzano), che l’ambito prevalente, se non esclusivo, del loro operato debba essere costituito dall’affrontare i concreti e spesso urgenti problemi sul tappeto (dal lavoro all’immigrazione, dall’economia alle opere pubbliche, ecc.) e che altre questioni, apparentemente più “astratte” rispetto alle appena menzionate contingenze, non siano di loro competenza, bensì spettino piuttosto al Parlamento.

Mi riferisco, per esemplificare, al sostegno alle gestanti in difficoltà ed alle persone disabili e anziane non autosufficienti; alle famiglie, a partire da quelle numerose; ai genitori nell’essere davvero liberi di scegliere la scuola che più si confà al loro progetto educativo.

In realtà, tali questioni si collocano al cuore del bene comune, in quanto questioni strutturali, intimamente connesse alla visione antropologica ed alla centralità o meno della persona nella concezione politica; quelle, invece, per quanto importanti e attinenti pure esse al bene comune, sono questioni contingenti. 

Il fatto che le prime siano neglette, in realtà, è piuttosto eloquente in merito allo spirito dei tempi in cui siamo immersi…

Tornando al merito della questione, mi pare evidente che ciò che rende ancor più urgente siffatta priorità è rappresentato dall’attuale crisi demografica, in atto da anni in Italia, ma che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli drammatici. E come esso rappresenti un tema assolutamente rilevante, si pensi alle pesanti ricadute economiche e relazionali sulle future generazioni, se non verrà invertita la tendenza in tale campo…

Del resto, è la stessa legge 194/78, che all’art. 1 appunta in capo alle Istituzioni il dovere di sviluppare servizi socio sanitari e adottare altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato come contraccettivo (dato emergente nelle annuali Relazioni ministeriali).

Quanto ai Comuni (il quale comune è definito, dall’art. 3 c. 2 del d.lgs. 267/2000, il c.d. “testo unico enti locali”, come «l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo»), tra gli interventi più significativi di loro competenza, spicca primariamente l’inserimento nello Statuto dell’Ente – che ne costituisce la sua “Costituzione” – dell’impegno del Comune stesso nella promozione della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Lungi dall’essere previsione astratta, essa avrebbe invece una ricaduta concreta nei confronti dei servizi dipendenti dall’Ente, a partire da quelli sociali e assistenziali, tenuti come sarebbero a declinare i rispettivi interventi alla stregua di siffatta previsione statutaria.

In quest’alveo si potrebbe agevolmente inserire anche l’individuazione di un percorso sociale personalizzato per la presa in carico urgente, da parte dei servizi, della gestante in difficoltà, previo suo consenso, specie quando la stessa è già in possesso del certificato per l’aborto.

…Ed invece la sedicente solidarietà guarda ben altrove, abbandonando le gestanti..

Così come potrebbe rivelarsi foriero di buoni risultati occupazionali il sostegno fornito dal Comune (in svariate forme) alle aziende che aprissero reali prospettive di lavoro o di stages a gestanti seguite dal locale CAV.  In tal modo, attivando anche una virtuosa collaborazione tra il volontariato per la vita e gli Enti locali, facendo così conoscere quel volontariato alle Istituzioni.

Ancora, l’emanazione di provvedimenti comunali che considerino il nascituro come componente del nucleo familiare a tutti gli effetti (ad esempio, nell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare). Così come l’adozione di misure tariffarie e/o fiscali di competenza comunale, che tengano conto del numero dei componenti la famiglia, a partire dai soggetti più fragili (bambini, disabili, anziani, ecc.).

I Comuni possono altresì approvare l’adozione di uno o più Progetti Gemma, così come dare il proprio apporto per l’istituzione della Giornata della Vita Nascente, facendo pervenire al Parlamento o una richiesta del Sindaco o una mozione approvata in tal senso dal consiglio comunale.

Resta poi aperto tutto un cantiere ricco di iniziative attraverso la stipula, tra Comune e locale CAV, di Convenzioni o Protocolli per il sostegno alle gravidanze difficili o indesiderate, a partire da quelle assillate da problemi economici.

Quanto alle Regioni e alle Province Autonome, accanto agli anzidetti interventi comunali pure adottabili a livello regionale, andrebbe utilizzato il loro potere legislativo per organiche politiche a servizio della vita umana e della famiglia, sugli esempi di varie Regioni o Province Autonome (in Trentino – Alto Adige sin dal ’92; successivamente, in Lombardia, per ricordare i primissimi interventi).

Così pure si rende oggi necessario un intervento legislativo regionale che ridisciplini i Consultori familiari, al fine di riportarli alle originarie funzioni per cui sono nati: quelle di un concreto sostegno alla maternità, alla famiglia, alla coppia.

L’esperienza invalsa in qualche territorio dimostra quanto sia efficace, a partire dai bambini aiutati a nascere, l’aiuto alla vita umana e alla famiglia allorquando, accanto al volontariato, si pongono le Istituzioni locali.

L’auspicio è che il nostro volontariato attivi sempre più rapporti con dette Istituzioni, attraverso il metodo del “fastidio gentile” che mi sono permesso di suggerire da anni e che sta portando buoni frutti, grazie alla tenacia operosa di molti volontari, cui va un’immensa gratitudine.

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