Vicenda Charlie: la vittoria del nichilismo giuridico
Mentre al piccolo Charlie stanno staccando il respiratore che lo teneva in vita, si sta consumando una gravissima ingiustizia che, oltre a disporre la sua morte e a lasciare nello strazio i suoi genitori, ferisce nel profondo una civiltà millenaria e la sua cultura giuridica, religiosa, politica, creando un precedente incredibile.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso di non decidere, confermando di fatto le sentenze delle Corti inglesi che hanno accolto la richiesta dei medici di dichiarare “pienamente lecito e nel miglior interesse di Charlie che si interrompa la ventilazione artificiale” considerato che “le misure e i trattamenti finora adottati sono i più compatibili con la dignità di Charlie”e di definire legittimo il rifiuto al trasferimento del bimbo per un nuovo trattamento sperimentale. Pare che quella decisione derivi dal convincimento che si sia sconfinato nell’accanimento terapeutico. Non mi addentro in ambiti su cui non ho competenza. Mi chiedo solo su quali basi oggettive un giudice si discosti dalla volontà espressa dai genitori e dal parere dei medici statunitensi, affermando che nel “miglior interesse” del bimbo il trattamento sperimentale è inutile. E rilevo che un conto sono i trattamenti sperimentali e un conto l’interruzione di sostegni vitali, a partire dalla respirazione artificiale. Perché invece non accompagnare Charlie con cure palliative, consentendogli di respirare?
Paradossale appare poi la grave interferenza nella potestà genitoriale di Chris e Connie, padre e madre del bimbo, prodigatisi fino allo stremo per far sì che la cura sperimentale in USA potesse aver luogo: viene negato quell’ultimo loro tentativo, definito non nel “miglior interesse del fanciullo”, fino al punto di vedersi nominato un “rappresentante” del figlio, lui sì in grado di valutare quel “migliore interesse”!
Dov’è finito il prioritario rapporto tra genitori e figli, tanto proclamato da Costituzioni e Carte internazionali, se i primi sono ignorati nelle responsabilità legali di mamma e papà finanche quando si decide della vita dei loro figli? E perché in altri casi (Eluana) si è usato un criterio opposto, riconoscendo la legittimazione dei genitori in ordine alle decisioni sui trattamenti terapeutici, guarda caso contro la vita? Che ne è del fondamentale diritto alla vita di questi ultimi, anch’esso proclamato da solenni Documenti, che si sta trasformando in diritto sulla vita alla stregua di criteri quantomeno arbitrari? Dov’è finito il principio di libera autodeterminazione della persona verso lo Stato se decide questi cosa è bene e cosa è male? E perché l’autodeterminazione in questa vicenda è surclassata, mentre in altre (v. desiderio del figlio) assurge a grande “diritto” individuale? In sostanza, dov’è finito il senso del Diritto? E’ ancora concepito per tutelare i deboli nei confronti dei forti o siamo ormai al nichilismo giuridico, cioè al vedere il diritto, dimentico della giustizia, piegarsi all’interesse del più forte e comunque a poter ospitare qualsiasi contenuto? Oggi pare proprio di sì.
Questa Europa disperata può evitare di giungere al capolinea solo se si riappropria delle proprie radici, alla cui luce nessuna reale giustizia vi sarà senza un adeguato rispetto dei diritti umani. E ciò per l’essenza di questi ultimi, che non dipendono dalla valutazione di terzi sul valore di un determinato essere umano, ma ineriscono al semplice esistere di quest’ultimo. E l’eguale dignità di ogni essere umano vuol dire che è impossibile introdurre una distinzione di valore tra vite umane senza immediatamente negare tale eguale dignità. Ciò esige che i diritti umani non siano ricondotti al solo diritto scritto, sia pure garantito dalle Costituzioni.
La questione oggi centrale in tutte le problematiche giuridiche, politiche, sociali è la questione antropologica (chi è l’uomo, qual è il senso della sua vita?). Su di essa si abbatte la temperie del nichilismo che, legato all’avanzata della secolarizzazione (come ben documenta E.Boeckenfoerde in “Diritto e secolarizzazione”), equivoca su Dio, sull’uomo, sull’anima e sul suo destino e considera il diritto un fatto esclusivamente umano. E ritiene possibile sia nel diritto che in politica procedere “etsi Deus non daretur”, come ammoniva Benedetto XVI, richiamando la posizione di Grozio.
Sarebbe agevole ribattergli col Vico (“senza alcuna religione di una divinità gli uomini mai convennero in nazione”, da “Scienza nuova prima,n.15), ma quel che oggi mi pare urgente è, per dirla con Possenti “..una stabilizzazione antropologica al momento ardua, e che può provenire da un’immagine filosofica e religiosa dell’uomo.” E ciò a partire dalla “..politica e dal diritto, da cui la concezione liberale moderna dello Stato l’aveva espulsa.”
Il diritto è una scienza umana, che forma i suoi concetti in rapporto all’antropologia, per cui non è possibile interpretarlo senza considerare gli obiettivi umani e il contesto sociale. E ciò è confermato dal Rosmini, per il quale la persona è “il diritto sussistente” (“Principio-Persona,pp.113-120) e ribadito dal Trabucchi: “L’uomo, ecco il diritto”(da “Istituzioni di diritto civile”).
In conclusione, la verità sull’inalienabile dignità di ogni essere umano, lungi dall’essere incompatibile con la democrazia, è strettamente necessaria a questa. Una verità che si propone e non s’impone e che risulta recepita nei principi ispiratori della nostra Costituzione.
Pino Morandini
(vicepres.vicario del Movimento per la vita italiano)