Un impegno davvero “pubblico”: “sui tetti”!

di Domenico Menorello, coordinatore network “Ditelo sui tetti”, vice-presidente Fondazione Vita Nova

La storia pubblica dei cattolici nel dopoguerra è dominata dalla implicita e, forse, inconscia convinzione secondo cui un impegno “politico” sarebbe sempre “partitico”, dunque solo finalizzato alla (seppur giusta) presenza nelle istituzioni. Se, infatti, nel 1948, la DC vinse con l’insostituibile apporto delle opere sociali cattoliche, l’anima di questa mobilitazione sociale e pre-politica fu subito ostracizzato dal potere democristiano e nei decenni a seguire la dimensione prettamente istituzionale, parlamentare e partitica diventò e rimase egemone, fino al totale crollo del 1994. Eppure, già dai primi passi della storia repubblicana, un cattolico tanto politicamente esposto quanto profetico nella lettura del tessuto civile, quale è stato Giorgio La Pira, aveva ben chiaro quanto incidessero nella mentalità del corpo sociale le leve culturali, giornalistiche e giudiziarie, che la DC però abbandonava. Prevaleva invece nella classe dirigente la persuasione, secondo la quale il mantenere le leve del potere istituzionali sarebbe bastati a custodire la cultura (in allora ancora) cristiana del popolo italiano. Una convinzione mal riposta, peraltro evidentemente errata per i canoni della dottrina sociale. Ma che sopravvisse lungamente. Più lungamente della stessa DC, giacché nonostante il subitaneo crollo della balena bianca appena venne meno il suo potere, per ancora molto tempo molti cattolici inseguirono una nuova unità solamente attorno alle più svariate formule partitiche, ma, paradossalmente, la presenza si polverizzava tristemente in una imbarazzante miriade di sigle e quella nelle istituzioni si annichiliva del tutto.

Probabilmente, questa triste parabola dimostra che non ci siamo nemmeno accorti del dato sociale più eclatante: il “cambio d’epoca” (Papa Francesco, 2019). In effetti, la DC poteva anche -seppur con sguardo miope- supporre che bastasse un partito ben organizzato, perché ancora sembrava sussistere una qualche koiné valoriale diffusa. Negli ultimi vent’anni, invece, la nostra società è quella di “un uomo che ha perso ogni riferimento di fondo, che non sa più chi è” (Benedetto XVI, 2019). Quindi, se è sempre vero che mai l’unità sorge dall’esercizio del potere, bensì da una comunione ideale più grande, una siffatta impossibilità appare ancor più evidente in un contesto sociale che ha annullato, nel diffuso sentire sociale, ogni proposta di valore per la persona. Così, oggi, ogni forma di presenza pubblica unitaria non può prescindere dal ripartire, con umiltà e nuovo entusiasmo, dalla tensione verso un giudizio ideale comune, per comprendere la sfida antropologica propria del tempo che viviamo e per saper offrire proposte di maggior umanità a partire da un terreno prepolitico, non immediatamente condizionato da forme partitiche, ma innanzitutto fondato in una esperienza vivace e vitale in opere sociali. Come fece, anche lui profeticamente, Carlo Casini all’indomani della prima legge, la 194/78, che negò la dignità del vivere ai più piccoli, quando intuì che una ripartenza aveva bisogno di essere innanzitutto “vissuta” in un’esperienza e non appena pretesa e giustapposta dall’alto di un progetto politico. Perciò fondò il Movimento per la Vita, che presto mostrava all’Italia la straordinaria e commovente Bellezza di oltre 300 comunità operose in una accoglienza alla maternità, che strappavano all’abbandono e allo scarto centinaia di migliaia di vite.

Seppur nella consapevolezza della verticale sproporzione, il paradigma metodologico, culturale ed esperienziale di Carlo Casini offre una tonalità, che echeggia anche in uno spartito simile a quello che, nel piccolo, è venuto via via componendosi dal 2019 nell’esperienza dell’amicizia operosa di un centinaio di associazioni nel network “Ditelo sui tetti”, così chiamato proprio per significare la possibilità di una rinnovata presenza pubblica nel dialogo sulle ragioni e sui contenuti, per tutti. E non è un caso se una delle presenze che più ha dato esempio e forza nel network in questi anni è stata proprio quella del Movimento per la Vita, che ha sempre incoraggiato tutti, anche fattivamente suggerendo costantemente idee e questioni, attorno alle quali si sono moltiplicate gli studi e le proposte per servire l’Ideale e le opere, declinando giudizi e proposte ai decisori.

Il lavoro che, infatti, ha caratterizzato questa operosità condivisa fra corpi sociali è stato innanzitutto aiutarsi a comprendere come, attraverso la pretesa della mentalità dominante di un nuovo diritto, si voglia imporre una antropologia ridotta, in cui il valore della persona è parametrata all’assolutizzazione del principio di autodeterminazioni, cosicché dove non c’è autonomia, capacità di performare, successo, il valore della vita scende, fino a essere negato. Di qui, ad esempio, la sensibilizzazione che il Movimento per la Vita ha svolto verso noi tutti, circa l’iperbole in corso dell’utilizzo dell’aborto contro i più piccoli, il cui valore dell’esistenza è talmente negato da essere sempre più banalizzato e “privatizzato” con provvedimenti che hanno ampliato le modalità di ricorso alle “pillole” RU486 ed Ellaone, che assieme abbiamo contestato anche formalmente impugnando dette decisioni. Più in generale, a fronte dell’individuazione della filigrana antropologica proprio del neo-individualismo efficientista di cui si è detto che permea molte decisioni legislative e giurisprudenziali, il network ha sempre cercato di controproporre ai decisori una prospettiva di maggior bellezza e ragionevolezza sulle stesse questioni che affollano il dibattito pubblico italiano, approntando e curando una “agenda pubblica”, allo stato composta di 65 obiettivi concretamente declinati. Ebbene, l’intera sezione “vita” dell’agenda è esito di molti suggerimenti e posizioni del Movimento per la Vita, dalla richiesta di riconoscere la capacità giuridica al concepito alla proposta di riformare i consultori, coinvolgendo fattivamente il terzo settore, come già accade, ad esempio, nell’esempio della convenzione con un Centro Aiuto alla Vita attuata in un’Unità Sanitaria Locale in Piemonte.

La tessitura di questo lavoro ha sin qui coinvolto, seppur con modalità ancora informali e volutamente “disorganizzate”, settantatre realtà no profit, di cui quattro sono a loro volta “reti” di ulteriori decine di associazioni, attraverso quindici commissioni di lavoro e di “produzione di proposte” sulla base delle importanti e preziose competenze che ci sono nelle nostre associazioni. Una operosità che, dal 2019, ha editato o collaborato all’edizione di sei pubblicazioni e all’organizzazione di ottantacinque eventi, gli ultimi dei quali rappresentati dai “care day” in quindici consigli regionali, per proporre la cura della fragilità anche nel fine vita, anziché il giudizio di disvalore verso i più deboli trascinato dalle proposte per il suicidio medicalmente assistito disseminate in altrettante regioni del nostro Paese.

Soprattutto in quest’ultimi tre anni, inoltre, abbiamo toccato con mano che dove c’è una unità nel giudizio e nella proposta, l’attenzione dei decisori si alza ed è possibile tornare ad incidere, pubblicamente. Come è successo per la libertà di educazione, quando nel 2020 e 2021 alcuni affollatissimi webinar con (quasi) tutti i gruppi parlamentari hanno generato la riallocazione di risorse nell’ordine di circa 80 milioni per non far morire migliaia di scuola paritarie e con esse la stessa pluralità educativa. Come è accaduto per le cure palliative e ’attenzione ai più fragili, quando nella legge di bilancio 2023 è stata accolta la proposta del network di un obbligo in capo alle Regioni di presentare progetti annuali di razionalizzazione delle terapie per il dolore, per arrivare nel 2028 al 90% del fabbisogno, con la successiva attivazione di un dinamico e pungente osservatorio che sta dando frutti insperati e che ha poi motivato, finalmente, l’avvio di nuovi finanziamenti con il successivo bilancio 2024. Inoltre, questo impegno “pubblico” di tante associazioni ha incoraggiato il sostegno ai caregiver e a una nuova concezione della persona anziana descritto nella legge 33/23. Altresì, inventare idee e riforme concrete sulla base del principio di sussidiarietà per la declinazione di un nuovo ruolo per le famiglie ha contribuito, fra l’altro, all’introduzione nelle imprese dei fringe benefit e a moduli di decontribuzione per mamme con figli, ovvero a introdurre nuove garanzie per i mutui per famiglie numerose di cui vi è effettiva traccia nella legge di bilancio 2024, fino ad alzare l’asticella per la strutturale prospettiva di una unit tax familiare.

Stare, dunque, davvero di fronte al “cambio d’epoca” significa prendere sul serio la necessità di ri-capire, di ri-comprendere, per noi stessi e per tutti, la ragionevolezza di scegliere e servire l’“uomo tutto intero” (Karol Wojtyla) rispetto alle riduzioni dell’umano cui conduce la mentalità dominante. Ricostruire una presenza pubblica alternativa all’omologazione chiede, soprattutto ai cattolici, di volere ripartire da una condivisione assai più ampia che l’arrivare a tesserarsi in uno stesso partito, perché serve innanzitutto quella linfa ideale, culturale e, per così dire, “prepolitica” che sappia stupirsi daccapo e offrire esempi di una visione dell’uomo oggi più che mai radicalmente nuova; quella per cui Qualcuno ci ha promesso che  “ogni capello del capo è contato”, donandoci una speranza finalmente corrispondente alla ragione e al cuore di ognuno, che soprattutto i corpi intermedi possono, ben più dei partiti, mostrare a tutti, “sui tetti”.

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