Pillola abortiva nei consultori: è scontro nel Lazio

Si riaccendono nella regione Lazio le polemiche su aborto e difesa della vita nascente

E’ recentissima la notizia che almeno due regioni, ossia il Lazio e la Toscana, hanno in progetto di rendere presto disponibile nei consultori la pillola RU-486. Ad aprire le danze dovrebbe essere, dalla prossima estate, proprio la regione governata da Nicola Zingaretti, dove peraltro non si sono ancora placate le polemiche per la scelta, risalente allo scorso febbraio, di bandire un concorso aperto a soli medici non obiettori.

Movimento per la vita, Gigli: «Scelta illegittima, ricorreremo al Tar». – La decisione , che appare evidentemente tesa a sminuire il valore della vita nella sua fase pre natale, tramite la banalizzazione dell’aborto, sembrerebbe però essere anche in contrasto con le normative vigenti su Ivg e natura e finalità stessa dei consultori. Da qui le proteste del mondo pro-life e la possibilità, paventata dal Movimento per la vita, di fare ricorsoal Tar. «La legge 194 – ha spiegato infatti dalle colonne di Avvenire il presidente, Gian Luigi Gigli – impone che l’aborto sia praticato da un ostetrico-ginecologo solo presso un ospedale o una casa di cura e assegna ai consultori anche il compito di fornire alle gestanti informazione e assistenza per contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna ad abortire». Ricordiamo che l’assunzione di mifepristone non è assimilabile alla contraccezione d’emergenza, ma è una pratica abortiva vera e propria, che si può praticare fino al secondo mese di gravidanza. In effetti, appare chiaro che mettendo questo farmaco a disposizione anche al di fuori delle strutture ospedaliere si aggirino in modo illegittimo i limiti della legge 194/78, e che venga saltata del tutto la fase della dissuasione e del sostegno alle donne incinte, prevista sempre dalla legge 194, come d’altronde ha spiegato Gigli.

Ma dalla regione assicurano: «Misura in favore delle donne».- Dal canto loro, i vertici della regione Lazio sostengono che già il 15% degli aborti avviene tramite pillola di mifepristone e quindi l’esperimento, che si protrarrà almeno 18 mesi (per ora è una scelta sperimentale) si propone proprio di evitare alle donne i disagi di un ricovero ospedaliero. Così la ginecologa , su La Repubblica  del5 aprile: «L’obbligo di ricovero non è un fatto sanitario, è un fatto ideologico e politico, per rendere l’aborto un percorso gravoso per le donne. Come se dovessero essere punite di qualcosa. Noi non vogliamo banalizzare la scelta, ma rendere il tutto più umano. E la Ru486 è una pratica ambulatoriale, non ospedaliera».

Simone Ziviani

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