L’aborto non è un diritto, l’obiezione di coscienza sì, ma non per il Lazio

Il concorso della Regione Lazio – Servivano due ginecologi all’ospedale San Camillo di Roma. La Regione Lazio ha indetto un concorso, ma non aperto a tutti. Per ambire ai posti messi a disposizione bisognava avere una caratteristica ben precisa: non essere obiettori di coscienza per quanto riguarda la legge 194, quella sull’aborto.
Il Presidente della Regione, Luca Zingaretti spiegò così la decisione: «Nel Lazio è stata compiuta una vera e propria rivoluzione. Tenendo conto del numero sempre in aumento degli obiettori di coscienza, ma soprattutto per contrastare la piaga dell’aborto clandestino, abbiamo operato in questi anni per garantire alle donne il diritto di interrompere la gravidanza senza nessun pericolo per la loro salute». La “battaglia” del Presidente è stata sostenuta da numerosi media, primo tra i quali il quotidiano nazionale La Repubblica, che si è spinto fino a deprecare le difficoltà dell’attuazione della 194 dal 1978 a oggi e lo scarso uso della pillola Ru486 (aborto farmacologico). Inoltre, ha considerò l’iniziativa come volta a migliorare le condizioni di lavoro della categoria dei ginecologi e a tutelare maggiormente il “diritto di scelta” della donna sancito dalla legge. Oggi i due medici sono stati assunti. Duro il commento del Presidente del Movimento per la Vita Gian Luigi Gigli che ha definito Zingaretti “illiberale”. La Conferenza episcopale italiana (CEI) ha dichiarato che impedire l’obiezione di coscienza “snatura la legge 194, che non aveva l’obiettivo di indurre l’aborto, ma prevenirlo” oltre a non rispettare “un diritto di natura costituzionale”.

Essere obiettori è un problema – Il quadro dipinto dall’iniziativa della Regione è a tinte scure. Leggendo tra le righe, soprattutto delle dichiarazioni del Presidente Zingaretti e dei titoli di quotidiani e agenzie, sembra che l’aumento degli obiettori di coscienza sia una piaga da fermare. In sostanza non si accetta che la tanto decantata legge 194, considerata da alcuni anche restrittiva, possa essere “abrogata” dai fatti. Anzi, dalle persone. Secondo i dati del Ministero della Salute, gli obiettori di coscienza tra i medici sono il 70%, mentre le strutture che praticano l’aborto sono il 60% del totale. Il concorso della Regione sembra avere come scopo quello di fermare questa “piaga”. Il tutto sarebbe in favore della libertà delle donne – dicono – ma così facendo calpesta un’altra libertà, quella propria degli obiettori che non vogliono essere complici dello spegnimento della vita di un bambino non nato. I concorsi dovrebbero basarsi su qualità oggettive come esperienza, capacità, curriculum e superamento di prove tecniche e attitudinali. In questo caso, invece, è stato inserito un requisito soggettivo, come se per accedere a una carica pubblica si dovesse essere iscritti a un partito. Il problema per i promotori di questa iniziativa è che i medici possano cambiare idea nel tempo. Ma si è pensato anche a questo. In caso i due medici si rifiutassero di praticare l’aborto verrebbero licenziati e avanti altri due. L’auspicio è che rimangano casi isolati e che l’obiezione di coscienza non sia abolita per legge, in nome dell’ennesima battaglia in nome della libertà.

Emiliano Battisti
Roma, 22 febbraio 2017

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