Utero in affitto, il triplice “no” dell’Europa: i figli non sono un diritto

In poco più di un anno, prima della sentenza della Corte di Strasburgo,
anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
e l’Europarlamento hanno detto un secco “no” all’utero in affitto

C’è ancora un’Europa in grado di riconoscere che un figlio non è un diritto. Sembrerebbe una banale considerazione, ma, di questi tempi, sappiamo che non è così. A livello europeo, per ribadire questa verità naturale si è resa necessaria una sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che il 24 gennaio scorso si è pronunciata sul caso “Paradisi-Campanelli contro Italia” in materia di utero in affitto.

La sentenza della Corte – La Corte ha stabilito, infatti, che «la rimozione di un bambino nato da maternità surrogata che non aveva legami biologici con gli aspiranti genitori non era contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Nel caso della coppia Paradiso-Campanelli, non c’è violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello che fa riferimento al rispetto per la vita privata e familiare. Data la breve durata della loro relazione con il bimbo e la mancanza di certezze legali nei rapporti con lo stesso, non esiste tra i tre neppure «una vita familiare» tale da poter essere violata. Di conseguenza, le autorità italiane, togliendo il bambino alla coppia, hanno riaffermato «l’esclusivo diritto dello Stato di riconoscere una relazione genitori-figli solo in presenza di un legame genetico o di un’adozione legale». Lasciare il bimbo alla coppia avrebbe comportato, infatti, la violazione di «importanti leggi nazionali», tra cui quella che regola le adozioni e la legge 40 che vieta l’utero in affitto.

Terzo «no» europeo alla surrogacy – Sulla sentenza e sulla sua importanza a livello giurisprudenziale, tanto si è detto e scritto, dato che la Corte per la prima volta si è espressa su un caso di maternità surrogata «nuda e cruda». Tuttavia, il pronunciamento ha anche una valenza politico-istituzionale: è, infatti, il terzo «no» alla surrogacy espresso dalle istituzioni europee in poco più di un anno.

Non è un mistero, infatti, che la decisione finale della Corte sia stata influenzata dal rigetto del rapporto De Sutter da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) dell’11 ottobre 2016, rapporto che mirava proprio ad una legittimazione della surrogacy. Così come non un è mistero che la bocciatura del rapporto da parte dell’APCE, anche se sofferta, sia stata a sua volta condizionata dalla “ferma condanna” dell’utero in affitto espressa dal Parlamento europeo nel dicembre 2015.

La condanna internazionale dell’utero in affitto – Ora, è vero che la Corte, di fatto, non si è pronunciata nel merito della maternità surrogata, ma si è limitata solo a giudicare tecnicamente il rispetto o meno della Convenzione. Tuttavia, dire che c’è un rapporto di filiazione solo in presenza di legame biologico tra il bimbo e genitori o di una regolare adozione, equivale ad escludere implicitamente la surrogata tra le possibilità previste per poter instaurare una relazione genitori-figli.

Non solo. Il parere concordante espresso nella sentenza dal giudice russo della Corte di Strasburgo, Dmitry Dedov, va addirittura oltre, sostenendo «la tratta di esseri umani va di pari passo con gli accordi di maternità surrogata». Dunque, siamo in presenza di «un piano inclinato», come ha ricordato Antoine Renard, presidente della FAFCE (Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche), che porta sempre più a vedere «i figli come diritti» e che, pertanto, va fermato.

Ecco perché  il pronunciamento della Corte pone basi giuridiche a livello europeo per poter giungere ad una condanna internazionale della surrogacy. La petizione «No traffic maternity» promossa dall’International Union for the Abolition of Surrogacy andava proprio in questa direzione.

Nuovi rapporti pro-surrogacy – Pertanto, se è vero che tre indizi fanno una prova, allora i tre “no” europei rappresentano perlomeno un primo passo verso questa direzione. Ma la battaglia è ancora tutta da giocare. Anche perché da Bruxelles trapelano voci che prospettano una nuova offensiva delle lobby pro-surrogacy che sarebbero pronte a presentare al Parlamento Europeo un rapporto, formalmente interessato al «benessere del bambino», ma praticamente finalizzato ad una legittimazione dell’utero in affitto. Insomma, l’ennesimo «cavallo di Troia», strategia ormai arcinota e più volte praticata dalle lobby Lgbt e abortiste.

Carlo Mascio

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