La maturità 2017 e i suoi “Versicoli quasi ecologici”

 Ovvero come difendersi dal male di vivere del Miur

Non uccidete il mare, 
la libellula, il vento. 
Non soffocate il lamento 
(il canto!) del lamantino. 
Il galagone, il pino: 
anche di questo è fatto 
l’uomo. E chi per profitto vile 
fulmina un pesce, un fiume, 
non fatelo cavaliere 
del lavoro. L’amore finisce dove finisce l’erba 
e l’acqua muore. Dove 
sparendo la foresta 
e l’aria verde, chi resta 
sospira nel sempre più vasto 
paese guasto: Come 
potrebbe tornare a essere bella, 
scomparso l’uomo, la terra»

 

La maturità 2017 si apre con l’imprevedibile poesia “Versicoli quasi ecologici” di Caproni, che di professione è stato maestro elementare a Roma, come ci informa la nota a margine del Miur: i maturandi dovranno rispondere a dieci domande su tale testo ignoto ai più, ma nulla di complicato, anzi. La lirica piace subito, presenta da un lato il pianeta terra in pericolo e dall’altro la presenza dell’essere umano temibile devastatore; ha l’andamento di una filastrocca, con le tante assonanze e rime, il tessuto narrativo ingenuo, i termini che si corrispondono come “amore” e “acqua che muore”, la presenza di aggettivi sospesi a fine verso e ripresi nel verso successivo, i cosiddetti enjambement, come “vasto/ paese guasto”. Versicoli, appunto, come dichiara il titolo stesso. In realtà dietro queste righe piuttosto disarmanti si nasconde ben altro, una visione ecologista “inumana”. Ma andiamo per gradi.

Si può cominciare col chiedersi il perchè della scelta di un autore così di nicchia, visto che il poeta livornese difficilmente occupa più di una paginetta dei corposi libri di testo del quinto anno; come mai la scelta è ricaduta su di lui e su quella poesia? Forse perchè questa lirica è accessibile a tutti? Perchè bisogna abbassare il livello di difficoltà, tanto l’esame è un fatto puramente formale e non va temuto?

Certo, nessuno mai rivivrebbe volentieri quel giorno, pensando alle tanti notti insonni che lo hanno preceduto, al cuore che accelerava d’improvviso, allo stomaco chiuso, ai troppi caffè, a nomidateformuleappunti che ballavano per la mente cancellando le ore di studio. Anche se, tutto sommato, quanto era bello avere paura per una cosa così, rispetto all’ansia di non trovare un lavoro? di non poter metter su famiglia? di fallire nella vita?

L’esame di maturità in ultima analisi è uno dei pochi punti fermi nella vita di un giovane, un ostacolo da superare con le proprie forze, e poter dire: “ho scritto un saggio breve, ho pensato a questa tesina, a quei collegamenti, insomma ce l’ho fatta, ce la farai anche tu”, è un’enorme soddisfazione,  è un passaggio di consegne a chi verrà ancora importante, e non va svilito.

                La poesia si avvia con un “Non uccidete il mare”: l’imperativo negativo è rivolto ad una collettività dalla quale l’io lirico del poeta si chiama fuori, perchè infatti Caproni, con toni quasi da bambino, si rivolge agli adulti, ai potenti della terra, e chiede di non compiere un omicidio tra i più efferati, quello del nostro pianeta.

L’idea, l’assunto iniziale, è che la terra sia un organismo fragile, che è possibile ucciderla, eliminarla in maniera definitiva; la terra è nella poesia mare, libellula, vento, lamantino lamentoso, galagone e pino: l’autore affianca al lessico prezioso, tratto, sembrerebbe, da un’enciclopedia degli animali, parole più familiari, quotidiane, rassicuranti.

Di conseguenza è l’uomo l’animale da non salvare, perchè se il “lamantino”, una grossa creatura acquatica della famiglia dei trichechi, va preservato perchè innocente, l’uomo non lo è, perchè comunque colpevole delle sue scelte: egli “fulmina” con la sua vile sete di profitto i fiumi con il loro contenuto di pesci, come il mitologico Zeus “radunatore di nuvole” in Omero; non si placa ma fa “sparire” tutto ciò che c’è di buono, come le foreste e l’aria pulita. L’uomo però dipende dalla natura da lui contaminata, quindi colui che sopravvive a tanto scempio (è il “chi resta” della poesia) sospira e si augura la distruzione della bestia umana, compreso se stesso, dunque.

E’ una visione rovesciata, l’uomo deve accettare di sottomettersi e annullarsi rispetto la terra; proprio lui che è teoricamente pensato al vertice della gerarchia del cosmo, creato nel libro del Genesi il sesto giorno, dopo minerali, vegetali e animali, non solo deve considerare il peso delle sue azioni e responsabilizzarsi come sarebbe logico, ma restituire alla terra la sua primaria bellezza autodistruggendosi. Infatti Caproni chiude la sua poesia con la penosa sentenza: “Come/ potrebbe tornare ad essere bella, /scomparso l’uomo, la terra”.

Una forma di igiene assai singolare, non c’è che dire.

L’uomo, se non ci facciamo ingannare da questa visione in cui è solamente un bestiale predatore,  è l’unico essere capace di relazione con chi quella terra, con tutti gli esseri viventi, ha creato; è l’unico in grado di dare un senso alla creazione, ed è lui che ha avuto la possibilità di partecipare a quel vento di creatività dando il nome alle cose, elevandole al rango di esistenza attraverso i suoi occhi capaci di distinguere colori, suoni, movimenti, durata. Può la terra avere significato privata di chi sappia guardarla, contemplarne gli equilibri e le trasformazioni, cantarla, ma anche proteggerla?

Forse i maturandi saranno stati più scaltri dei loro interlocutori adulti ed avranno saputo evadere la trappola del nichilismo insito in questa poesia, contrapponendo ad essa l’idea del rispetto, sì, nei confronti della natura esposta a tante sopraffazioni, ma anche la cura nei confronti dell’uomo, che è altrettanto fragile e indifeso sin dal concepimento.  

L’uomo, sorvegliando le sue azioni,  potrà così “uscire a riveder le stelle” come Dante scrive venendo finalmente fuori dall’Inferno, che è oggi quello di chi vede l’esistenza umana priva di scopo, senso o valore, e a buon diritto potrà continuare a provare stupore e amore per quel giardino dell’Eden terrestre di cui possiede ancora le chiavi.

Antonietta Rossi

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