Svizzera, suicidio assistito: possibilità di autoderminazione o business?

Una questione delicata

La vicenda del dj Fabo (Fabiano Antoniani), nel mese scorso, ha riportato alla ribalta mediatica il tema, complesso e delicatissimo, della legislazione sul fine vita. Anche perchè in quegli stessi giorni in Italia è iniziata la discussione parlamentare sul testamento biologico (Dat: disposizioni anticipate di trattamento). Dat che, se passasse, non porterebbe direttamente all’inserimento di norme eutanasiache (attive o passive) nel nostro ordinamento, nè tantomeno al riconoscimento del suicidio assistito, anche se il rischio è che possa aprire una breccia in quella direzione.

Suicidio assisitito: per la maggior parte dei media è un atto di libertà, ma…

Ed è proprio di suicido assistito che si è parlato molto nei giorni scorsi, soprattutto, ancora una volta, per la vicenda di Fabo. Ricordiamo che la differenza con l’eutanasia consiste nel fatto che in questo caso è la persona stessa a ingerire il farmaco mortale, di solito pentobarbitale sodico, che non gli viene altresì somministrato da figure terze (medici o paramedici). La tendenza mediatica è di far passare questa pratica, controversa e al centro di forti polemiche anche dove è consentita, come una possibilità che viene fornita all’individuo di autodeterminarsi liberamente, anche nei frangenti più delicati della sua esistenza. E’ questa l’immagine che vogliono fornire di loro stessi, ad esempio, i responsabili di «Dignitas. Vivere degnamente – morire degnamente», l’associazione che gestisce i centri (non cliniche, né ospedali) dove in Svizzera è possibile ottenere il farmaco letale e morire compagnia di chi si desidera (persone care, amici…).

I numeri di un business

Ma… è proprio così? In realtà è facile dimostrare che il suicidio in Svizzera è prima di tutto un grande business. Vediamo brevemente perchè (ricordando che questo tema è solo uno tra i molti etici, religiosi, filosofici e giuridici che si potrebbero muovere contro questa pratica, pur tenendo conto della delicatezza dell’argomento). Innanzitutto la Svizzera, al contrario dell’Olanda e del Belgio, accetta gli stranieri, quindi si sta sviluppando una sorta di «turismo della morte», peraltro in vertiginoso aumento: secondo Emilio Coveri, presidente di Exit Italia, sono già 37, nel 2017, gli italiani che hanno fatto richiesta per andare in Svizzera a morire, a fronte della 50 richieste complessive del 2016 (fonte: Dire). E ognuno di questi casi viene a costare anche anche 10 mila franchi (circa 10 mila euro), in quanto comprende una serie di servizi collaterali: cremazione, trasporto salma, pratiche burocratiche, visite mediche. Moltiplicate 50 per 10000 e il business è servito.

Simone Ziviani

Foto: Left

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