Messico, arriva la maternità surrogata “solidale”

Della proposta di disciplinare la fecondazione artificiale
e la 
Surrogazione di maternità in Messico

Negli Stati Uniti Messicani, dopo una lunga parentesi di silenzio normativo, è iniziato, da meno di un anno, un processo parlamentare che dovrebbe portare alla tanto attesa disciplina in tema di regolazione delle “Tecniche di riproduzione umana medicalmente assistita”. L’idea originaria era di addivenire ad una regolamentazione unitaria della materia, laddove si consideri che, come Stato federale, le soluzioni volta per volta prescelte dai diversi Stati federati hanno contribuito a creare nel Paese, nel corso degli anni, un clima di disomogeneità normativa che ha tutti i tratti di quello che un tempo, in Italia, fu detto “Far West procreatico”. Basti pensare, ad esempio, che le istituzioni dello Stato di Tabasco, nel sud del Messico, disciplinarono già venti anni orsono, nel lontano 1997 –con una norma la cui approvazione domandò, tra l’altro, una modifica ad hoc delle leggi del Codice civile in materia di riconoscimento legale della genitorialità– la discussa tecnica della Surrogazione di maternità, prevedendo che il nato in seguito all’utilizzo di detta tecnica avrebbe dovuto considerarsi non figlio della madre gestante, bensì della coppia committente. Fu il primo Stato al mondo a contemplare una legislazione simile.

Con l’obiettivo, allora, di giungere ad una disciplina organica del novero complessivo “delle metodologie biomediche che facilitano o sostituiscono i processi biologici naturali  che si sviluppano durante la procreazione umana”, la Deputata Sylvana Beltrones Sanchéz, del Gruppo Parlamentare del Partito Rivoluzionario Istituzionale, presentò, già nel marzo del 2016, un progetto di legge teso a riformare la Legge generale del Messico in materia di Salute, al fine di introdurre una regolamentazione vincolante a livello nazionale in tema di “Trattamento contro la infertilità e la riproduzione umana medicalmente assistita”.

Ora, la parte della proposta di legge relativa alla fecondazione artificiale eterologa appare ispirata ad un equilibrato senso del rispetto delle parti tutte coinvolte nel processo, laddove si consideri che la relativa disciplina contempla, tra le altre cose, divieti significativi. Tra questi si ricordano quelli relativi all’impianto intra-specie; alla scissione embrionaria precoce; alla clonazione; alla produzione di un numero di embrioni superiore a tre  per  ciascun  ciclo  riproduttivo,  da  impiantare  contestualmente;  al  commercio   degli embrioni prodotti per l’impianto; alla produzione di ibridi o chimere; alla sperimentazione sugli embrioni; alle pratiche con finalità eugenetiche; agli impianti post mortem; alla modifica genetica degli embrioni.

Il medesimo, positivo giudizio non pare sia possibile esprimerlo – ad onta di quanto già fatto dalla maggioranza che siede nella Commissione Salute della Camera, che ha esaminato e approvato, con lievi modifiche, il relativo progetto di legge – sulla parte del testo relativa alla Maternità surrogata. La proposta già approvata alla Camera prevede che il Contratto di surrogazione debba essere rigorosamente gratuito e firmato dinanzi ad un funzionario pubblico, chiamato a garantire che la determinazione della madre gestante, che deve essere maggiorenne, sia autenticamente libera. È altresì previsto che esista un vincolo di parentela che leghi la madre gestante ad uno dei due genitori genetici e che la stessa donna non possa essere, per più di due volte nella sua vita, madre surrogata.

L’esistenza di queste limitazioni, volte a configurare un esempio di “maternità surrogata solidale”, giacché attuata tra parenti e scevra da qualsiasi implicazione di carattere lucrativo, non elimina nessuna delle perplessità morali che una simile pratica comunque genera. Non è chi non veda come nella tristissima realtà messicana, fatta di giovani donne costrette a dare in affitto il proprio utero in cambio di soldi, il fine economico è nella quasi assoluta totalità dei casi, la sola ragione che spinge la donna ad accettare di portare avanti una gravidanza per conto d’altri. La forma di maternità proposta nel progetto di legge descritto, non cancella, dicevamo, l’assoluta inaccettabilità di una serie di aspetti che rendono moralmente riprovevole il ricorso a tale pratica, quali ad esempio: 1) la giuridificazione di una forma autentica di sfruttamento umano, che non cessa di essere tale per il solo fatto che risulti assente la corresponsione sinallagmatica basata sul pagamento di un prezzo; 2) la strumentalizzazione del corpo della madre gestante, quantunque attuata in presenza di un consenso, eventualmente cosciente e libero, prestato dalla stessa; 3) i rischi per la salute psichica della madre gestante, specie nella fase post-parto, una volta avvenuta la separazione dal nascituro; 4) l’obbligo di dichiarare in anticipo la rinuncia a qualsiasi diritto parentale sul bambino; 5) il tasso considerevole di mortalità materna all’interno dei Paesi meno sviluppati, nonché l’insorgenza possibile di complicanze post-parto e l’assoluta assenza di coperture previste per tali ipotesi.

A  queste  osservazioni  critiche,  esclusivamente  riferibili  alla  maternità surrogata solidale, se ne potrebbero aggiungere molteplici altre relative alla maternità surrogata lucrativa, ovvero a quella forma di Maternità surrogata che potremmo definire comune giacché praticata ormai in numerosissime nazioni nel mondo. Vale la pena di ricordarne alcune: 1) la sostanziale iniquità delle somme corrisposte alle madri gestanti, somme che mai potrebbero esser viste come controprestazioni economiche eque, considerando che la forma, la durata e i rischi implicati in questa pratica sembrano incompatibili con quelli di prestazioni lavorative di qualsiasi altra natura; 2) la segregazione, cui spesso sono costrette le madri gestanti nei Paesi più poveri, all’interno di baby farm di proprietà delle cliniche che effettuano l’inseminazione, anche per rifuggire gli effetti della stigmatizzazione sociale che si accompagna all’adesione a tali accordi; 3) l’obbligo, spesso previsto contrattualmente, di ricorrere, alla fine della gravidanza, al cesareo, al fine di preservare la salute del bambino da possibili rischi connessi all’evento della nascita, e ciò in totale oblio delle esigenze connesse alla tutela della salute materna; 4) le limitazioni gravi imposte alla vita della madre gestante durante il tempo della gravidanza; 5) le asimmetrie informazionali, culturali e sociali esistenti tra i membri della coppia committente da un lato e la madre surrogata dall’altra. Senza tacere le numerose ripercussioni negative, spesso traumatiche, relative al nascituro,  da quelle, per citarne solo due, implicate dalla separazione alla nascita dalla madre gestante, a quelle relative ai futuri rapporti tra questa e la coppia committente.

Da tutto quanto osservato, dunque, parrebbe opportuno operare uno stralcio urgente e definitivo, dalla proposta di legge citata in apertura, delle norme relative alla disciplina di detta pratica, così da lasciare il posto, da un lato, alla completa messa al bando della stessa, possibilmente accompagnato dal divieto di riconoscere giuridicamente, all’interno dei confini dello Stato del Messico, la relazione paterno-filiale così originata, dall’altro, dalla previsione della dichiarazione di adottabilità immediata del bambino la cui nascita si accertasse avvenuta in questo modo. Questi parrebbero essere utili accorgimenti legali volti a garantire un’autentica tutela della dignità tanto della madre gestante come del nascituro, oltre che, si intende, del retto desiderio di genitorialità delle potenziali coppie committenti.

Antonio Casciano

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